di Mauro Carosio, Giovanni Ferrari, Mariangela Macocco, Marina Montesano
Venerdì 26
Appuntamento ormai diventato consueto per TomTomRock quello con il Rock en Seine, uno dei festival che chiudono la stagione. Per quest’anno sbarchiamo in forze, nonostante la calura insolita per la fine d’agosto a Parigi: che rallenta l’afflusso dei festivalieri (110mila, un po’ meno dello scorso anno), accolti da un’organizzazione impeccabile, che ha previsto fontane per l’acqua gratuita, cannoni di vapore acqueo per rinfrescarsi; e che soprattutto assicura un ingresso veloce e senza code allo splendido parco di Saint Cloud.
Un inizio all’insegna dell’hip-hop
Ci si riscalda già sotto il palco della Cascade, dove il rapper Logic, proveniente dal Maryland e con all’attivo un paio di album ufficiali e diversi mixtapes, è sulla scena invasa dal sole in compagnia di un dj, che tuttavia si presta anche come partner nelle parti vocali. Il repertorio dell’esibizione attinge soprattutto al disco del 2015, The Incredible True Story, con qualche incursione nel recente mixtape Bobby Tarantino.
Logic è simpatico e possiede un flow allo stesso tempo veloce e ritmico che lo pone al di sopra della media e lo fa amare dal pubblico giovane che è venuto ad applaudirlo; e che non perde entusiasmo neppure quando il computer che serve per le basi si surriscalda e bisogna portare un ventilatore perché torni a funzionare. E’ insomma un inizio apprezzabile che spiana la strada per uno dei nomi più attesi di questa edizione, almeno per gli amanti dell’hip hop.
Parliamo di Anderson .Paak, che con Malibu e innumerevoli partecipazioni a progetti vari è anche uno dei nomi caldi di questo 2016. Arriva accompagnato da una fama di grande performer che certo non ha intenzione di smentire. Vestito di bianco attacca in versione rap ma passa al canto su The Season / Carry Me, uno dei brani più belli su Malibu, anche al ReS eccellente. Balla, canta, fa spettacolo in molti modi e coinvolge immediatamente il pubblico, ormai molto numeroso.
E’ accompagnato da una band di quattro elementi, ma dimostra di essere a sua volta ottimo musicista quando si siede alla batteria. Poi la lascia per tornare a far spettacolo, regalandoci grandi versioni di Heart Don’t Stand A Chance e The Bird. Conclude nuovamente alla batteria con Am I Wrong che in coda si trasforma in una cover (solo della parte musicale) di Let’s Dance: ovviamente il grande successo di David Bowie, ma anche tema grafico di questa edizione del ReS.
In attesa del primo headliner
Ascoltiamo un po’ a distanza Brian Jonestown Massacre: il suono non ci attrae più di tanto e una pausa è necessaria per combattere il caldo. Ci avviamo quindi verso il palco principale, dove sono attesi i primi e per noi principali headliner di questo festival: The Last Shadow Puppets. Ma nel frattempo assistiamo al concerto dei Two Doors Cinema Club. Da un gruppo nato dieci anni fa forse ci si aspetterebbe qualcosa di più. Anche se loro stessi hanno dichiarato di “suonare musica senza pretese” il problema è che spesso un pubblico che paga per vedere un concerto qualche pretesa ce l’ha.
La band irlandese non si è sprecata durante la sua carriera: due dischi in tutto, più uno in uscita, e il live rispecchia totalmente le premesse di cui sopra. I brani scorrono senza emozionare lasciando una sensazione di fastidiosa omogeneità al punto da non riuscire a distinguerli uno dall’altro. I punti di riferimento ci sono: Modest Mouse in testa, però manca un’idea che renda il tutto originale, come se si trattasse di un gruppo al debutto che deve ancora trovare la propria strada. In ogni caso Alex Trimble (il “frontman”) al momento non ha la stoffa per il ruolo scelto.
Il momento più atteso del Rock en Seine
A chiudere questa prima giornata sono The Last Shadow Puppets che alle 23 in punto salgono in scena per dare inizio a un elettrizzante set di 90 minuti. Chi li segue dal 2008 (molti tra il pubblico hanno l’aria di aver avuto a quel tempo a stento dieci anni!) avrà gioito come noi dell’attacco con Calm Like You, seguita immediatamente da una trascinante Aviation.
I cinque mesi on the road sembrano aver portato Alex Turner (Arctic Monkeys) e Miles Kane (The Rascals) a una perfetta sintonia: il crooner alla Elvis Presley (Turner) e il don Giovanni in versione Hugh Hefner (Kane) si muovono con sapiente teatralità e padronanza di scena, ora alternandosi alla prima voce, ora lasciando che queste si intreccino mirabilmente – come nel sublime duetto Everything You’ve Come to Expect, a metà del quale, come a sancire il loro chiacchieratissimo bromance, i due amici si concedono un tenero bacio.
In un set che abbraccia il meglio della loro produzione (in particolare colpiscono la presleyana Sweet Dreams TN, la velenosa Separate And Ever Deadly e la languida My Mistakes Were Made For You) non mancano due cover a sorpresa: una buffissima Le Cactus (Jacques Dutronc) e, per il congedo, una Moonage Daydream di David Bowie da brivido.
Sarebbe ingiusto chiudere non menzionando l’affiatatissimo quartetto d’archi al femminile e la potente sezione ritmica capitanata da quel talentuoso pezzo d’uomo che è James Ford, produttore dei TLSP così come di alcuni brani degli Arctic Monkeys. Se è vero, come annuncia Turner, che quello di stasera sarà l’ultimo concerto della storia dei TLSP il mondo della musica live avrà perso una delle sue giovani stelle più brillanti, capace di mescolare entertainment, pop, melodramma e rock’n’roll come davvero pochi sanno ancora fare.
Sabato 27
Sabato fa ancora più caldo di venerdì. Per questo arriviamo con calma curiosi di vedere un paio di band della scena francese.
Conosciamo due band francesi
I primi sono i Grand Blanc, una vera sorpresa dalla Francia del nord. Hanno all’attivo un album uscito all’inizio dell’anno, Memoires Vives, e un paio di EP. Si presentano sul palco con un’energia inaspettata e una serie di brani che non lasciano dubbi né tregua. Siamo in un ambito ben caratterizzato: cold new wave vagamente vintage con sonorità anni ’90, ma i duetti tra la bionda frontwoman e il degno compare convincono al primo ascolto.
La band è nata tre anni fa ed è solo parzialmente conosciuta in Francia, ma ha tutte le carte in regola per crearsi un pubblico, magari di nicchia, in Oltralpe e chissà dove altro.
Seguono i ben più noti La Femme, band di Biarritz con all’attivo un primo disco di grande successo, Psycho Tropical Berlin e un secondo in arrivo. E’ un gruppo che divide, La Femme: il loro miscuglio di yé-yé, surf, pop psichedelico ne ha decretato la fortuna, ma a molti risultano antipatici per il look, i testi e l’attitudine.
Il palco della Cascade è affollato, il gruppo sa fare spettacolo, soprattutto Sacha Got che scende fra il pubblico, chiacchiera e si destreggia fra vari strumenti. Il suono ricorda spesso gli anni ’80 e in particolare Plastic Bertrand: siamo pur sempre in Francia! I nuovi brani si sposano bene con i vecchi: in particolare Ou Va Le Monde si propone già come un nuovo classico per La Femme, che alla fine non delude e fa trascorrere un’oretta più che gradevole, talvolta trascinante.
Si prosegue con il rock anni ’90
I fans del movimento riot grrrl o chi ha l’età per ricordarle all’apice del successo a metà anni ’90 sono forse al corrente del fatto che, dopo uno iato di oltre una decade, le L7 sono tornate all’attacco. Il set che stasera propongono sulla Scène de l’Industrie attinge però principalmente dal fortunatissimo Bricks Are Heavy (1994), seguendone passo passo gli arrangiamenti.
In scaletta neanche l’ombra di nuove composizioni (a settembre in uscita un doppio CD di successi, b-sides e rarità varie), cosa che fa pensare a un qualche bisogno di battere cassa. Ma ciò alla fine poco importa perché è una bella sorpresa vederle suonare ancora con gusto e interagire sia col pubblico (nonostante la barriera della lingua) che tra di loro con divertenti botta e risposta in sguaiato e rockettaro stile West Coast. Cool.
Il gruppo islandese atteso da molti
Siamo insomma lontani dalle atmosfere dei Sigur Ros, per molti fra i più attesi in questa edizione targata 2016. Reduci dalla pubblicazione del singolo Overdur, lo scorso giugno, traccia poi trasformata in un video a tratti cupo e surreale, diffuso anche in una versione in timelaps lunga parecchie ore, gli islandesi, paladini del post-rock in versione nordica, sono una band imprescindibile, sebbene forse ancora un poco di nicchia, per un pubblico di fedelissimi.
E infatti – sebbene sulla Grande Scène siano previsti come headliner i Massive Attack appena qualche minuto dopo la fine dello show dei Sigur Ros – in tantissimi si attardano nelle primissime file per seguire la loro esibizione, che non delude. Il concerto si apre proprio sulle note di Overdur, davvero bellissima dal vivo, impreziosita da luci e colori a ricamare trame luminose sugli schermi alle spalle dei musicisti.
Ed è un’esplosione di suoni e di luci quella che accompagna il brano più suggestivo in scaletta, Glosoli, ovvero Glowing Sun. Ma non possiamo non segnalare anche la maestosa E-Bow, Festival e in chiusura Popplagid, brano struggente, pubblicato nel 2002 che non ha perso nulla dell’antico smalto.
Fine serata al di sotto delle attese
Chiusura con i Massive Attack, già presenti alla prima edizione del Rock en Seine, nell’ormai lontano 2003. Set imponente per le luci e lo sfondo denso di messaggi politici; comincia alla voce Horace Andy con Hymn Of The Big Wheel, seguono senza lasciare molte tracce United Snakes e poi Risington, vanno meglio Man Next Door, di nuovo con Horace Andy, e anche la nuova Ritual Spirit con Azekel.
A questo punto, però, pregi e difetti dei Massive Attack live sono già chiari: alla band non mancano le belle canzoni, quanto piuttosto la capacità di catturare l’attenzione di un pubblico che è stato già per ore e ore fra un concerto e l’altro. Come risultato molti sono quelli che preferiscono andarsene in anticipo e facilitarsi il rientro. Peccato perché la band ha in scaletta Angel, Eurochild e la sorpresa di Tricky su Take It There, ma i Massive Attack ci paiono più adatti per una dimensione molto differente da quella di stasera.
Domenica 28
Kevin Morby, cantautore americano in ascesa, ha il compito non facile di aprire alle 15.15. Il sole è meno caldo degli altri giorni, ma certo il fresco sperato è ancora lontano. Comunque Morby e la sua band mettono in scena un buon set accolto già da un pubblico abbastanza folto, che applaude; e la prestazione sembra giovarsene perché cresce in sicurezza da una canzone all’altra. Miles Miles Miles e Singing Saw sono fra le composizioni che lasciano più il segno nel repertorio di un compositore che piace molto alla critica innamorata del suono americano, e che qui si conferma magari senza aggiungere troppo a un canone già ricco.
Altro genere per la sorpresa Killason: rapper nativo di Poitiers ma andato a cercare fortuna ad Atlanta, ha il coraggio di presentarsi con una specie di pelliccia che riesce a tenere anche per un buon quarto d’ora senza svenire. E questo nonostante il suo sia uno spettacolo nel quale è unico protagonista: provvede alle basi, canta (non è solo un rapper, in effetti), balla con la preparazione di un professionista (e probabilmente lo è). Molto simpatico ed estroverso, non ha sempre canzoni di spicco, anche se alcune ci sembrano carine, ma la presenza scenica e il divertimento non mancano.
Se i dischi non sono più eccellenti, dal vivo convincono
La maggior parte del pubblico segue però in contemporanea gli Editors sul palco principale, che aprono alla grande con una splendida versione di Sugar, uno dei brani più belli della loro produzione tratto da The Weight Of Your Love del 2013. Il resto dell’esibizione della band di Stafford è una buona sintesi di una carriera iniziata ormai più di dieci anni fa.
Va detto che nonostante gli ultimi album lascino un po’ a desiderare, rispetto a An End Has A Start o al disco d’esordio The Black Room, dal vivo sono decisamente migliorati offrendo uno show di tutto rispetto. Il cantante Tom Smith è più presente, interagisce col pubblico e i compagni lo seguono adeguatamente. Non ci resta che sperare in un prossimo lavoro all’altezza delle loro capacità.
Band belga con un discreto successo in Francia, i Ghinzu sono dal vivo una vera rivelazione. Il loro concerto è previsto alla Scène de la Cascade alle18.45, ed è affollatissimo sebbene sulla Grande Scène sia attesa subito dopo la grande star di Rock en Scène, ovvero Iggy Pop. Assenti da sette anni sul palco del festival parigino, i belgi sono grintosi e pieni di energia in scena ed hanno un repertorio di canzoni di tutto rispetto, sia quelle degli album più vecchi, che le canzoni nuove, che saranno presenti sul nuovo album, attesissimo dai fan.
E’ proprio un brano nuovo, Face, ad aprire le danze, a cui fanno seguito Cold Love, Take It Easy e Barbe Bleue. Uno dei momenti più caldi arriva con The Dragster Wave, brano bellissimo, articolato e dalle continue impreviste variazioni, quasi si trattasse di più componimenti. Do You Read Me, dall’album Blow del 2004 è uno dei grandi classici. Ed è proprio Blow il protagonista della parte finale del concerto, che ci regala in rapida sequenza Mine, Jet Sex e Cockpit Inferno. Una band da tenere d’occhio, proprio in vista del nuovo lavoro, previsto fra qualche giorno.
Tra dance e punk rock
Il trio scozzese dei Chvrches è fortemente penalizzato dalla concorrenza. La sua esibizione è in contemporanea con quella di Iggy Pop. In ogni caso i Chvrches hanno il loro pubblico di affezionati nonostante il breve percorso artistico costituito da due soli album. Anche loro comunque sono riusciti a sorprendere sfoggiando una professionalità degna di una band con più esperienza. Sul palco rendono decisamente meglio che su disco riuscendo a trasformare il loro sound, a volte un po’ troppo sempliciotto, in un qualcosa di più adeguato a un festival rock. La voce della frontwoman Laureen Maybarry dal vivo è perfetta. Non un cedimento o una nota presa per i capelli e i due compagni ai synth si comportano adeguatamente. I brani presentati sono quelli più noti e nel complesso lo show è decisamente gradevole. Sono un gruppo in crescita, ma live ci sanno già fare.
Chi si ricorda dei Sum 41? Canadesi protagonisti dai primi anni ‘00 di quel movimento pop punk dalle inflessioni metal che non ha certo cambiato il corso della musica contemporanea, ma che a giudicare dal pubblico piace e anche tanto! Alla fine è un suono che mette insieme le generazioni: al ReS le loro canzoni sono cantate da alcuni bambini come pure da signore e signori di una qualche età, tutti uniti da melodie semplici semplici tenute in piedi da riffoni e energia à go-go. Il pogo davanti alle transenne è intenso quanto divertente, e bisogna dire che ai Sum 41 davvero non manca la capacità di coinvolgere il pubblico e tenere il palco.
Al Rock en Seine è il momento dell’Iguana!
Ma ecco attesissimo sulla Grande Scène l’arrivo del grandfather of punk, quello strepitoso survivor che è Iggy Pop. Accompagnato stasera da una band di session men tutti rigorosamente in nero, Iggy balza in scena sulle note di I Wanna Be Your Dog contorcendosi in quei movimenti sincopati che sono il suo trademark e instaurando immediatamente il rapporto con un pubblico rapito dalla sua presenza scenica.
A torso nudo (e vaffanculo al corpo cascante!), in jeans neri e cinturone di borchie e strass, Iggy sfodera un baritono metallico e nerboruto che entra nelle viscere eccitando, scuotendo e a tratti anche commovendo con un set che gronda di classici quali The Passenger, 1969, Some Weird Sin, Sister Midnight e Nightclubbing.
In una recente intervista Iggy si era lasciato sfuggire che Post Pop Depression (2016) potrebbe essere il suo ultimo album. Se è vero che il tema della mortalità pervade quest’opera da molti giudicata un ritorno alla forma quasi insperato (grazie anche alla sapiente produzione di Josh Homme), l’animale da palcoscenico che questa sera si avvicina al pubblico per lasciarsi toccare mentre intona spavaldo “I’m a real wild child”. L’iguana che si inginocchia tendendo il braccio alla folla adorante ululando “I love you, I love you sweet sixteen”; lo stooge che si volta e, a semi-pecorina, sculetta lascivamente al sublime riff di Lust for Life è un irriducibile Priapo, troppo ebbro di vita per mollare proprio adesso. A soli 69 anni.
Un finale festaiolo per il Rock en Seine
Ancora storditi dalla magistrale performance di Iggy Pop, e sperando di vederlo riapparire per duettare su Kick It (che ingenui!), ci dirigiamo verso il palco Pression Live dove Peaches regalerà a un pubblico non proprio foltissimo ma decisamente festaiolo un’esilarante extravaganza degna dei tempi d’oro dello Studio ’54.
Un’ora di post-porn electroclash arricchito da inserti glam rock/hip-hop (tanto per gradire) in cui l’intrepida ed eclettica artista canadese sfodera il meglio di una produzione ventennale ricca, se non proprio di grandi successi, né tantomeno di classici, certamente di provocazioni e demenziali riflessioni sul gender. Colpiscono in particolare Vaginoplasty per la coreografia e gli svergognati costumi, e l’enorme fallo gonfiabile nel quale la nostra scivola per un ‘cazzutissimo’ crowdsurfing sulle note della memorabile Dick in the Air.
L’assenza di musicisti in scena (solo basi registrate… e niente Iggy!!!) viene supplita da dosi generose di verve e joie de vivre che soddisfano appieno e fanno sì che gli inviati di TomTomRock possano avviarsi ai cancelli d’uscita con dei bei sorrisi stampati sul viso e senza l’ombra di un rimorso per non aver prestato orecchio ai Foals, che sul palco Grande Scène chiudevano questa edizione 2016 di Rock en Seine. Un’edizione forse un po’ magra rispetto alle precedenti, ma comunque capace di regalare alcuni momenti di musica e spettacolo sublimi.
Mauro Carosio ha recensito i Two Doors Cinema Club, Grand Blanc, Editors, Chvrches; Giovanni Ferrari: The Last Shadow Puppets, L7, Iggy Pop, Peaches; Mariangela Macocco: Ghinzu, Sigur Ros; Marina Montesano: Logic, Anderson .Paak, La Femme, Massive Attack, Kevin Morby, Killason, Sum 41.