di Antonio Vivaldi
La “fine del rock” è una formula così abusata da risultare quasi ridicola (altro è dire, come fa il nostro John Vignola, che la situazione non è florida e di questo si può discutere). Sì, magari il rock finisce quando sale sul palco Ligabue, ma poi rinasce ogni sera in cento posti diversi. Capita ad esempio che rinasca in un’afosa sera del giugno 2014 nella città di Genova. Sul palco il quasi-veterano Ian Svenonius in completo di lamé, camicia rossa, cravatta nera e sotto… maglia della salute (lì sta il mestiere). Il suo gruppo dell’ultimo quinquennio si chiama Chain & The Gang ed è composto da quattro ragazze pure loro di lamé vestite, tranne la robusta batterista. Concerto fatto di pezzi veloci, melodicamente spogli e ritmicamente carichi all’insegna di quel Minimum Rock’n’Roll che è anche il titolo del recente album del quintetto.
Chiaro che si tratta di garage rock psicotico e dai tratti sudisti che abbiamo già sentito da Alex Chilton, dai Cramps, da Tav Falco, eppure quando Svenonius si sdraia a terra, oppure agita l’improbabile zazzera corvina oppure improvvisa un monologo visionario-politico non si ha la sensazione di aria fritta, ma di energia vitale stappata come una bottiglia di spumante, di divertimento sexy e sudato, di rigenerazione insomma. E il fatto che la chitarrista bionda non sappia granché suonare (pare abbia imbracciato lo strumento da meno di un anno) poco importa, perché per l’”outlaw noise” di Chain & The Gang gli assoli non servono. In più, tutto ha l’aria molto spontanea, con l’impagabile merchandiser francese che abbandona il suo banchetto per andare ad agitarsi sotto il palco e al momento degli acquisti tocca correggergli i conti perché li sbaglia a suo sfavore.
(foto di Marina Montesano)
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Chain & The Gang – Nuff Said (live)