Bob Dylan e il cinema. Intervista a Rudy Salvagnini
Tutto quello che avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere sul cinema e Bob Dylan si trova qui, in un libro scritto nel 2009 dal critico cinematografico e sceneggiatore di fumetti Rudy Salvagnini. S’intitola appunto “Il cinema di Bob Dylan” e ripercorre con perizia e precisione i rapporti più o meno noti di Dylan con la cosiddetta settima arte.
I film più celebri…
Il saggio di Salvagnini contiene ovviamente una disamina dei lavori più famosi che vedono Dylan come protagonista o tra i personaggi principali. Don’t Look Back e Eat The Document sono documentari dedicati al Dylan della svolta elettrica. Il Concerto per il Bangladesh segna, dopo un lungo periodo di pausa, il suo ritorno sulle scene insieme ad altri musicisti per sostenere il progetto voluto da George Harrison. Successivamente Dylan recita in Pat Garrett & Billy The Kid e ne compone la colonna sonora. Arriva persino il momento di Dylan nei panni di regista con Renaldo & Clara, e una sua partecipazione a L’Ultimo Valzer, l’addio alle scene di The Band. In Hearts Of Fire ed in Masked and Anonymous, Dylan si diverte ad interpretare il ruolo di rockstar decaduta. La rassegna dei principali film imperniati su Bob Dylan si conclude con No Direction Home di Martin Scorsese del 2005.
…e gli episodi minori
Ma il libro di Salvagnini non trascura episodi meno noti come The Madhouse on Castle Street, un film andato purtroppo perduto in cui un Dylan agli esordi recitava una piccola parte. L’approccio di Salvagnini, a 360 gradi, include inoltre le canzoni eseguite per Assassini Nati, Wonderboys (premiata con l’Oscar) e Gods and Generals. Non mancano nemmeno film dedicati alla figura di Dylan come I’m Not There dove sei diversi attori ne interpretano la parte in sei diverse fasi della sua carriera, o film che si limitano ad accennare alla sua figura come Factory Girl. Nel libro vengono addirittura menzionati i videoclip e i rapporti intercorsi tra Dylan e MTV, nonché le sue interviste o comparsate televisive. Insomma, una fonte davvero affidabile di informazioni per chi volesse approfondire questo aspetto della carriera di Dylan.
Detto per inciso: durante la nostra conversazione telefonica Salvagnini mi ha rivelato di aver imparato l’inglese grazie alle canzoni di Bob Dylan. Anche nel mio caso hanno contribuito. Non si potrebbe forse introdurre un nuovo metodo di apprendimento dell’inglese e denominarlo “English Through Bob Dylan”?
Un’intervista a Rudy Salvagnini: Il cinema di Bob Dylan.
Rudy, per forza di cose il tuo lavoro non ha potuto occuparsi del recente Rolling Thunder Revue di Scorsese e io partirei da lì. Tu ed altri lo avete definito un mockumentary più che un documentario per la maniera in cui si prende gioco del fenomeno “fake news”. Ci vuoi dire il tuo punto di vista?
Con No Direction Home, Dylan e Scorsese avevano adottato un approccio diretto e “sincero”, rievocando la fase iniziale della carriera di Dylan e rivelando, con l’umiltà e l’ammirazione che Dylan ha sempre dimostrato verso gli artisti che l’hanno ispirato, le radici della sua arte. Ma rievocare la Rolling Thunder Revue era tutt’altra cosa. Quel tour è stato un fenomeno artistico del tutto particolare e totalmente dylaniano, una rivisitazione picaresca della commedia dell’arte: un tour apparentemente sgangherato, ma geniale.
Perciò, Dylan e Scorsese sono andati oltre i fatti per evidenziare la natura più profonda di quel tour e ricordare come la verità sia soprattutto nelle canzoni, come ha detto altre volte Dylan stesso. In un continuo gioco tra realtà e mistificazione, Dylan, ben supportato da Scorsese, ha fatto trapelare quell’umorismo e quell’autoironia che non gli hanno mai fatto difetto, ma che non sempre gli vengono riconosciuti. Io l’ho trovato un prodotto sorprendente, divertente e pieno di musica eccezionale, oltre che di qualche notevole perla di saggezza. Una documentazione dall’interno di quel tour già ce l’avevamo con il libro di Larry Sloman e il logbook di Sam Shepard. Dylan e Scorsese hanno fatto qualcosa di più vicino allo spirito della Rolling Thunder Revue o anche di Renaldo & Clara, dove già si giocava sul concetto di vero e di falso.
Il tuo blog Odds & Ends, evidente citazione dylaniana, contiene articoli e recensioni sul cinema. Ho trovato molto stimolante una tua osservazione secondo cui il brano Brownsville Girl farebbe riferimento al film La Notte dei Morti Viventi di Romero nel verso “welcome to the land of the living dead”. Intuizione indirettamente corroborata – nel documentario di Scorsese – dallo stesso Dylan quando dice che Sam Shepard, coautore della canzone, “aveva una particolare conoscenza del mondo sotterraneo”, come se comunicasse con i morti. La trovo una strana e intrigante coincidenza.
Brownsville Girl è una canzone molto cinematografica, con quel genere di narrazione tipicamente dylaniano che procede per un accumulo di dettagli arrivando a un quadro d’insieme volutamente ambiguo. Esempio analogo è Lily, Rosemary and the Jack of Hearts, dal quale a suo tempo si pensò di trarre un film. L’influenza di Sam Shepard c’è sicuramente, ma è meno evidente, per il tipo di narrazione, rispetto a quella di Jacques Levy: diverse canzoni di Desire sono apertamente narrative, ma in modo più esplicito, almeno nella maggior parte dei casi (Romance in Durango e Hurricane lo sono, Isis è più dylaniana, narrativamente). È probabile che Dylan conoscesse La notte dei morti viventi, visto il suo interesse per il cinema, anche quello di genere, come dimostrano varie citazioni nelle sue canzoni e quello che ha detto come dj in Theme Time Radio Hour.
Un punto di contatto tra Dylan, Shepard e Romero è sicuramente l’attore Ed Harris, protagonista di uno dei film più personali di Romero (Knightriders, 1981), attore nella commedia off-Broadway Fool for Love (1983) di Shepard e attore, proprio perché desiderava lavorare con Dylan, in Masked and Anonymous (2003). È interessante notare che il film con cui Romero, dopo uno iato di parecchi anni, ha ripreso la sua saga zombesca si intitola proprio La terra dei morti viventi e contiene aspetti sociopolitici come e più di sempre molto significativi. Brownsville Girl – di cui va fatta una completa esegesi alla luce delle differenze con la precedente versione New Danville Girl, l’unica a essere stata scritta insieme a Shepard – è una canzone molto ricca di risvolti e questo richiamo ai morti viventi è sicuramente suggestivo, anche se va visto in termini di metafora. Ma la metafora è proprio la principale chiave di lettura anche dei film di Romero.
Nel tuo libro non ti dici soddisfatto della maniera in cui Cate Blanchett recita la parte di Dylan in I’m Not There. Ritieni che lei possa essersi ispirata a Joan Baez che ogni tanto si travestiva da Bob Dylan, imitandolo, durante la Rolling Thunder Revue?
Forse, è difficile dirlo, ma lo ritengo poco probabile. È più facile che lei si sia ispirata al Dylan vero, che risultava dai filmati dell’epoca. È riuscita a coglierne abbastanza bene l’estetica, se così si può dire, ma non è riuscita a replicarne la personalità in quel momento dirompente. Bisogna però dire a sua giustificazione che “quel” Dylan era forse il più sfuggente e difficile da interpretare.
Leggendo “Il cinema di Bob Dylan” mi è venuta voglia di rivedere Renaldo & Clara, assurdamente massacrato da molta critica. Non pensi che un giorno persino i suoi contributi da regista e persino da attore verranno rivalutati?
Lo spero. Renaldo & Clara è stato oggetto di un ingiustificato massacro critico che penso non sia estraneo all’allontanamento di Dylan dal cinema per molti anni e penso anche che da quello dipenda il rifiuto di Dylan di distribuire in home video il film. Adesso, dopo il documentario di Scorsese, credo sia quasi impossibile una distribuzione di Renaldo & Clara, dato che Scorsese ha utilizzato molto materiale musicale contenuto nel film di Dylan, ma un’edizione accurata di Renaldo & Clara, magari della Criterion, sarebbe assai auspicabile. Come sarebbe bella un’edizione ampliata di Masked and Anonymous – il cui girato pare essere molto abbondante – altro film misconosciuto e vilipeso.
A pagina 250 citi le seguenti parole di Dylan in un’intervista rilasciata a Der Spiegel: “la letteratura è il passato. I film sono la nuova letteratura. Chi ha qualcosa da dire oggi, fa un film”. I testi di una canzone vengono ormai considerati come poesie, i film come letteratura. Stiamo forse assistendo a un rimescolamento dei generi artistici?
Nella stessa intervista, Dylan però precisa che i film non possono essere “grande letteratura” spiegandone anche il perché. Poi precisa che i film vecchi e in bianco e nero gli piacciono più di quelli nuovi. Un’opinione simile, se vogliamo, la possiamo ricavare dal tipo di canzoni che come dj programmava nel suo show radiofonico. Dylan sembra dirci che le cose stanno cambiando, ma non in meglio. E sono d’accordo con lui, naturalmente con le dovute eccezioni. Detto questo, sì, penso che sia in atto un rimescolamento delle forme di espressione, molto stimolante sotto certi aspetti. Il problema è sempre quello della qualità, però.
Infine mi piacerebbe un tuo commento sui continui riferimenti cinematografici presenti nelle canzoni di Dylan, soprattutto nell’album Empire Burlesque ma non soltanto lì. Tanto per dirne una, ci sono echi felliniani persino in Mr. Tambourine Man.
A Bob Dylan è sempre interessato il cinema e riferimenti cinematografici sono spesso presenti nelle sue canzoni sin dai primi tempi. Basta ricordare Motorpsycho Nightmare (da Another Side of Bob Dylan) con i ripetuti richiami a Psycho e a La dolce vita. Il lavoro fatto in Empire Burlesque è ancora più raffinato perché Dylan ingloba e utilizza in un contesto personale svariate citazioni da film che l’hanno colpito iniziando forse quel percorso che l’ha portato negli anni successivi a operare nello stesso modo con nascoste citazioni da autori talvolta poco conosciuti che hanno spinto i meno avveduti ad avanzare accuse di plagio (alle quali, alla fine, ha risposto con fare un po’ scocciato lo stesso Dylan). Il cinema è uno degli elementi che forniscono a Dylan ispirazione e lui ne dà atto con frequenza.