Perché Bob Dylan conta.
Tra i tanti, troppi libri su Bob Dylan usciti dopo l’assegnazione del Nobel ce n’è uno che merita tutta la nostra attenzione. Richard F. Thomas, Why Bob Dylan Matters. A quando una traduzione in italiano? Il titolo ricalca quello di Why Sinatra Matters, un libro del 1998 di Pete Hamill dedicato all’importanza di una figura come Frank Sinatra nella cultura americana. Ma Richard F. Thomas, un professore di Harvard che da anni tiene un corso universitario sui testi di Bob Dylan, va oltre i confini statunitensi e stabilisce un nesso che accomuna Dylan ai grandi poeti latini dell’antica Roma.
Bob Dylan e gli imperi
Il suo ragionamento parte da una valutazione storico-politica. Gli Stati Uniti dei giorni nostri si troverebbero ad affrontare lo stesso tipo di sfide e incertezze della Roma di epoca imperiale. In questo contesto, secondo Thomas, spicca una caratteristica finora sottovalutata dell’approccio dylaniano, vale a dire il suo attaccamento ai simboli dell’antichità. Dylan risulta addirittura essersi iscritto al Latin Club di Hibbing nel 1956 e aver preso lezioni di latino. Una passione per l’antica Roma alla quale non avrebbe mai rinunciato.
A partire da una canzone misconosciuta del 1962 (Long Ago, Far Away) e dai versi – “going back to Rome / that’s where I was born” – contenuti in un’altra sua canzone misconosciuta del 1963 (Going Back To Rome), fino ad arrivare alle composizioni più recenti. Una strofa in Long Ago, Far Away dedicata al bagno di sangue dei gladiatori nel Colosseo riecheggia stranamente – a mio avviso – l’ironia del testo successivamente composto da Edoardo Bennato per il brano Meno Male Che Adesso Non C’è Nerone.
Interpretare Dylan
Un concetto su cui Thomas insiste parecchio è quello della “trasfigurazione”. A essa Dylan stesso aveva già accennato in termini misteriosi in un’intervista a Rolling Stone del 2012. Dylan – nell’interpretazione di Thomas – si “trasfigura” immedesimandosi, di volta in volta, nei personaggi delle sue canzoni. Che altro non sono che una rivisitazione dei personaggi epici della letteratura classica. Così in Ain’t Talking sarebbe proprio l’imperatore Augusto a dire, per bocca di Bob Dylan, che vendicherà la morte del suo padre adottivo Giulio Cesare: “I’ll avenge my father’s death / then I’ll step back”. I versi “I want you so bad” del 1966 come quelli successivi di Sick Of Love oppure di Til I Fell In Love With You ricordano molto, troppo da vicino quelli di Catullo in “Odi et amo”. E i versi “coming down the mountain /distributing the corn” tratti da Early Roman Kings del 2012 non possono non far pensare al motto “panem et circenses” ideato da Giovenale.
Bob Dylan e i classici latini
Come funzionerebbe allora il meccanismo della trasfigurazione? In pratica – se ho ben capito – Bob Dylan indossa la maschera di Bob Dylan e di volta in volta si trasforma. Per esempio, in Orazio nei versi di Bye And Bye. “You were my first love and you will be my last” che citano l’ode per l’ultimo amore di Orazio dedicata a Fillide. Allo stesso modo Ovidio, nel raccontare il suo esilio, aveva compiuto un’operazione del tutto simile nel poema Tristia identificandosi con la figura di Ulisse. E Dylan chiude il cerchio dei rimandi filologici. Dopo aver parafrasato l’esilio di Ovidio in Beyond Here Lies Nothing, paragonandosi a Ulisse e appropriandosi di molti versi di Omero (troppo lunghi da citare) sia in canzoni come Early Roman Kings o Pay In Blood sia nella lectio magistralis consegnata all’accademia di Stoccolma.
Insomma, nella versione proposta dal professor Thomas che spero di aver riassunto fedelmente avremmo un Dylan profondamente interessato alla nozione di impero. Lo confermerebbero anche certi espliciti riferimenti nelle sue canzoni. Come l’ironica intenzione di volersi creare un “imperial empire” in Honest With Me o il titolo Empire Burlesque dato a un album del 1985.
Ricordi
Honest With Me tra l’altro appare nella scaletta del concerto tenuto da Dylan il 6 novembre 2013 all’Atlantico di Roma. Thomas sottolinea più volte nel suo libro l’importanza di quell’evento e della data successiva del 7 novembre sempre nello stesso locale. Perché a suo dire testimoniano l’affetto e il vincolo simbolico che legano Dylan alla nostra capitale. Durante una tournee europea in cui da Oslo a Milano aveva ripetuto sempre gli stessi brani nella stessa rigida sequenza, arrivato a Roma Dylan scombussola le carte proponendo diciassette canzoni nuove in ciascuno dei due concerti. Canzoni mai eseguite prima durante il tour. Nelle successive tappe europee Dylan ritorna invece alla scaletta standard. Ben quindici pezzi tra quelli proposti a Roma non sono mai più stati suonati dal vivo.
https://youtu.be/kAmK3X3Gq70
Posso dirlo che in quella prima serata all’Atlantico io c’ero fra il pubblico? Uno di quei momenti che non scorderò mai.