Jonny Greenwood e la e la band indiana Rajasthan Express
L’incontro fra Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohaed, Shye Ben Tzur, compositore isrealiano e la band indiana Rajasthan Express ha prodotto un frutto prezioso, che si è concretizzato in un album pubblicato lo scorso 20 novembre e in un film-documentario diretto da Paul Thomas Anderson, diffuso in anteprima mondiale sulla piattaforma MUBI, film che ci racconta l’incontro fra musicisti tanto differenti nel momento della creazione musicale.
Junun
Non è la prima volta che ci si trova di fronte al tentativo di mescolare e fare convivere sonorità occidentali con atmosfere orientali e mediorientali. In questo caso, tuttavia, l’esito è un album bellissimo e straniante. Canti tradizionali ebraici, sonorità sufi, musica indiana, musica elettronica: Junun è tutto questo, sapientemente miscelato e calibrato, in modo tale da non fare prevalere un elemento sull’altro. Un caso esemplificativo su tutti, la meravigliosa Allah Elohim che si apre su una chitarra che pare rubata ai Radiohead di Kid A, su cui si intersecano canti ebraici, strofe hindi e sufi. Le barriere culturali sono definitivamente abbattute.
Ci sono parecchie gemme in quest’album, che richiede un ascolto molto attento e non sporadico. Oltre alla già citata Allah Elohim, segnalo Kalandar, affascinante fusione di percussioni e strumenti a fiato, Ahuvi in cui emerge bellissima la chitarra di Greenwood, ad accompagnare un canto struggente, e Hu costruita attorno al mistico suono di un sarangi che si trasforma magicamente in una melodia molto più ritmata grazie a un inatteso crescendo.
Spuntano i Radiohead
Roked e Junun evocano in sottotraccia e in modo sapientemente celato, seppure riconoscibile a un orecchio attento, i Radiohaed di King of Limbs mescolati, come in magico intreccio, con sonorità scandite da trombe e percussioni, così come il brano di chiusura Modeh in cui emerge, soprattutto in coda, la chitarra di Greenwood. Come ho già accennato la vera forza di questo lavoro risiede soprattutto nel fatto che ogni musicista coinvolto vi apporta una parte decisiva del proprio talento e del proprio universo musicale senza che nessuno degli elementi prevalga sull’altro, come del resto ben documenta il film-documentario di Anderson. Un album indispensabile in questa fine 2015.
8,5/10