RDS Stadium, Genova, 25-04-2018.
Avere Bob Dylan sotto casa… Beh, non succede spesso, niente trasferimenti, treni o automobili come al solito; inoltre il concerto casca il 25 aprile, il giorno più bello della nazione. Tre o più generazioni sono ammucchiate, tranquille, presso il tempio dello shopping alla Fiumara e tutti sono eccitati dall’attesa.
Il concerto inizia in perfetto orario (anzi, con cinque minuti di anticipo). Sul palco ancora quasi buio solo Stu Kimball alla chitarra acustica per una suggestiva versione strumentale del traditional Wild Mountain Thyme. Poi entrano in scena il Maestro e il resto della band e, come succede da un po’, è Things Have Changed il vero inizio del concerto.
Bob Dylan, il piano e il microfono
Bob sta dietro il piano, unico strumento che userà a parte alcuni duelli col microfono. A volte suona in piedi, a volte seduto, sempre con uno stile un po’ improbabile. Spesso confabula brevemente con Tony Garnier che sembra essere il suo uomo sul palco (anche se il direttore musicale è il polistrumentista Donnie Herron). L’altro ‘uomo sul palco’ che attira l’attenzione di una certa parte del pubblico (e del cielo) è il sex-bomb Charlie Sexton, ma non divaghiamo… Questa band è solida, riverente ed efficace, in più ha il vantaggio di un repertorio molto rodato. A tale compattezza contribuisce il fatto che, da qualche tempo, la scaletta dei concerti non cambia molto da una data all’altra.
Dylan rivede i suoi classici
Tra i brani proposti in questa tournée, anche a Genova abbiamo ascoltato una bellissima Simple Twist Of Fate, una torrida Highway 61 Revisited e una Tangled Up In Blue un po’ troppo nascosta da un bizzarro arrangiamento. Consueti anche i travestimenti di brani epocali come Desolation Row e, nei bis, Blowin’ In The Wind. La prima è una canzone nata per essere rivisto a ogni occasione, la seconda deve forse essere continuamente demitizzata. Ma queste sono supposizioni troppo strutturate rispetto all’imperscrutabile mente dylaniana. Come spiegare infatti il rifacimento molto fedele all’originale di Don’t Think Twice, It’s All Right, per anni ‘maltrattata’ in concerto? Forse perché è una canzone che oscilla fra cattiveria e rimpianto e oggi prevale il rimpianto? Mmm, troppo strutturata anche questa.
Il repertorio dylaniano più recente
Stiamo però parlando troppo di antichi classici, quando i veri capisaldi del Dylan settantasettenne sono in realtà quelli da Time Out Of Mind in poi: ballate lente e rock-blues sudatissimi. Citiamo come esempi la dolente Love Sick, l’emozionante Tryin’ To Get To Heaven e la furiosa Duquesne Whistle. Poco spazio per il crooner degli ultimi dischi: una bella Melancholy Mood contro un’incerta Come Rain Or Come Shine con Autumn Leaves a fare media. Si percepisce il rispetto di Dylan per queste canzoni, Il Maestro ridiventa allievo e la dizione è doverosamente perfetta.
Questo ci porta a parlare della voce di Dylan che, come tutti hanno notato, è tornata a essere tonica – nel suo peculiare modo, ovviamente – rispetto al sibilo affaticato di una decina d’anni fa. Anche qui, come sia accaduto il miracolo nessuno sa dirlo.
Nel doppio finale del concerto (Long And Wasted Years) e del bis (Ballad Of A Thin Man, ben riconoscibile) si legge che sono stati lunghi anni, ma tutt’altro che sprecati. Perché qualcosa sta succedendo ancora, qui, e sappiamo cos’è, vero, Mr. Jones?