Dan Stuart & Tom Heyman – Savona, 1 novembre 2018.
Spero tanto che The Unfortunate Demise of Marlowe Billings non sia l’ultimo disco di Dan Stuart, come lui stesso ha dichiarato. Sarebbe un vero peccato, perchè Stuart, nonostante o forse proprio grazie alle sue disavventure personali, ha raggiunto una maturità compositiva, artistica e anche umana commovente.
Per chi non lo sapesse Dan Stuart era la voce dei Green On Red, alfieri insieme ai Dream Syndicate di quell’entusiasmante stagione del Paisley Underground anni ’80, roots rock virato di psichedelia che affascinò una generazione di ascoltatori anche in Italia (e l’età media dei presenti tradiva questa antica fascinazione). Dopo i Green On Red Stuart ha avuto e fatto diverse vite, più o meno buie. Di recente, sotterrata l’ascia del rock’n’roll, sembra aver trovato la sua dimensione in Messico (*).
L’eclettismo di Tom Heyman
La serata è iniziata con una Vicious di Lou Reed (**) fatta insieme a Tom Heyman, lasciato subito solo a proporre i suoi bei pezzi di solido rock’n’roll/country/roots/blues, ma per carità non parlate di genere musicale “Americana”, stasera: Dan Stuart lo odia, e sostiene che abbia ucciso il rock’n’roll, in America. Storica dichiarazione: “I am
an original 77 punk-rocker, that’s what I am. I hate Americana!”. Heyman ha collaborato tra gli altri con John Doe, Alejandro Escovedo, Chuck Prophet, e qualcuno ha definito la sua musica come un cocktail di JJ Cale, Nick Lowe, Mink De Ville e Gordon Lightfoot: chiaro da che parti si muove? Ha concluso il suo intervento solista con una
Vigilante Man di Woody Guthrie da brivido, attuale più che mai, ai tempi di Trump (citato e disprezzato più volte nel corso del concerto), “ma voi italiani potete capire, avete avuto Berlusconi per tanti anni!”.
Poi arriva un Dan Stuart agrodolce e affascinante
Dan Stuart ha eseguito in gran parte brani tratti dagli ultimi dischi (The Deliverance e l’ultimo in particolare), ma in versione acustica “nuda” (senza batteria e basso) impreziosita però da Heyman tanto da fargli esclamare “Che serata triste sarebbe senza Tom Heyman, vero?” (vero!).
In effetti Stuart propone i suoi ultimi pezzi in maniera molto diradata, minimale, a tratti teatrale, mentre Heyman abbellisce e “riempie” tutto con arrangiamenti di arpeggi, assoli e slide. Tranne Joke’s On Me, Never Going Back to Tucson (città di origine di Stuart), Love So Rare (in cui ha dichiarato la sua ammirazione per Jonathan Richman) e la sguaiata Zombie For Love (probabilmente il peggior pezzo dei Green On Red), i toni di Stuart sono stati spesso intimisti, agrodolci e malinconici, affrontando anche nelle introduzioni parlate temi come la paternità (Here Comes My Boy), la giovinezza perduta (The Day William Holden Died), la vecchiaia del padre, la drammatica situazione al confine del Messico (Gringo Go Home), i matrimoni falliti (Why I Eever Married You). Il tutto vissuto e quindi suonato in prima persona, seppur usando Marlowe Billings come alter ego, anche nei libri da lui scritti, con una onestà davvero impressionante. Stuart non ha remore nel dire cosa ha passato e cosa sta passando, e non si può non rispettarlo, stimarlo, volergli bene anche.
Lo strano rapporto di Dan Stuart con il suo passato Green On Red
Solo tre i pezzi dal repertorio dei Green On Red: “Vista l’età media molti staranno pensando: ma come, niente Green On Red? E’ una fregatura! OK, ve ne concedo tre. E niente bis: sono stufo di questo ridicolo teatro kabuki dell’uscire e rientrare, quando finisco finisco. E’ uno dei molti cliché del rock di cui mi sono sbarazzato”. Alla fine quindi una spettrale, toccante Cheap Wine, che conclude il concerto dicendo “Sono solo un uomo che non sa distinguere il giusto dallo sbagliato, ma chi può dirlo. Sono solo un uomo che non sa vederci bene in tutto questo come voi”… Davvero, spero tanto che questo non sia l’ultimo disco e concerto di Dan Stuart.
(*) La nuova vita messicana di Dan Stuart è bene illustrata in questo video:
https://www.youtube.com/watch?v=LH0R3VtJLlM
(**) Al termine del pezzo Stuart ha borbottato: “Non mi ricordo di chi è questo pezzo, mi sembra un piccoletto vestito di nero di New York City…”