Il pubblico dei Timber Timbre
Il ragazzo arriva da una valle dell’entroterra e ha fatto 40 minuti in auto da solo per i Timber Timbre, uno dei suoi gruppi preferiti. La ragazza arriva anche da più distante, a giudicare dall’accento padano. Dei Timber Timbre sa i testi a memoria e li canta fra sé e sé. Non c’è la folla delle grandi occasioni a sentire il quartetto canadese e la serata è un po’ lo specchio dell’attitudine italiana verso la musica ‘indie’ (o forse verso alcunché sia intelligente): interessa a pochi, ma quei pochi la seguono con attenzione e affetto.
Al Mojotic Festival la band di Taylor Kirk presenta un ottimo set
L’attenzione e l’affetto sono ricambiate da Taylor Kirk e compagni sotto forma di un set incisivo, compatto e intenso, con una sola pecca rappresentata dalla brevità. All’inizio il suono non è perfetto, poi, da This Low Commotion in avanti, il mondo oscuro e sospeso del gruppo viene evocato ineccpepibilmente dai perfetti incastri di chitarre e tastiere e dai registri bassi della voce di Kirk il quale, molto più che su disco, fa pensare a Stuart Staples dei Tindersticks. Gran parte dei brani proviene dall’ultimo album Hot Dreams e se nel contesto di studio si percepiva un po’ di autocompiacimento noir, qui i pezzi sono caratterizzati da naturali crescendo emotivi a cui si aggiunge un’inattesa componente ironica: a 100 metri di distanza sta suonando un gruppo rock-blues e fra un pezzo e l’altro la loro musica arriva ben percepibile nell’anfiteatro Mojotic. Kirk non si preoccupa, ridacchia e commenta: “E’ un sassofonista… No è un chitarrista. Bravo, però. Potremmo prenderlo”.
Alla fine, per i bis, resta a lungo da solo, e a luci spente, sul palco. Il pubblico è a due passi e persiste l’eco del chitarrista svisone. L’effetto non è fastidioso, anzi crea una dimensione buffa che fa pensare a quanto cantava decenni fa David Crosby: “Everybody’s saying that music is love”. Ormai chi si occupa di questa musica – artisti, pubblico, organizzatori – lo fa (anche) per amore.
This Low Commotion (live)