Anaïs: il pericoloso fascino dell’amoressia.
In tempi brutti è bello poter parlare di canzoni, ascoltare un disco e dire ‘questa mi piace, quest’altra mi sembra meno centrata’ e così via. Si dirà che la cosa vale per qualsiasi album di qualsiasi genere, ma nel caso del secondo lavoro degli Anaïs entra in gioco una sorta di naturale empatia, quasi ci si trovasse, magari senza volere, nel cuore delle situazioni ascoltate.
La musica lenitiva degli Anaïs
È questo il merito principale di brani che sembrano lenitivi e carezzevoli, e in parte lo sono, senza però mai essere davvero rassicuranti. In un certo senso funzionano come i bravi amici che non ti dicono soltanto quello che vorresti sentire.
Lo slowcore degli Anaïs gioca sulla dialettica a mezze tinte fra le melodie circolari di Franco Zaio e i testi di Francesca Pongiluppi, la cui voce suona perfetta per instillare, senza atti di accusa o peccati di psicoanalisi, una serie di dubbi sulla profondità della comunicazione (A cosa serve), sul ruolo dell’attrazione (Occhi grandi) o sull’uso che si fa degli altri nelle relazioni sentimentali (Balsamo).
Le cover di Amoressia
In questo contesto risultano ineccepibili cover che altrimenti risulterebbero risapute. Parliamo di Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen e soprattutto di There’s a Light That Never Goes Out degli Smiths, dove il “morire al tuo fianco è un modo celestiale di morire” suona come soluzione perfetta, ancorché drastica, all’insorgere della routine sentimentale. Forse in un disco come questo 14 pezzi sono troppi e forse l’iniziale A cosa serve vira troppo verso il ‘pop italiano’ anziché quello velvettiano, ma sono dettagli perché, come si diceva, è bello poter parlare di canzoni.
7,5/10
Il cd costa euro 10,90 ed è reperibile ai concerti del gruppo, presso il negozio Disco Club di Genova (discoclub@discoclub.fastwebnet.it) oppure tramite kelemata@inwind.it.