More Blood More Tracks – The Bootleg Series Vol. 14.
Un altro gioiello della Bootleg Series. Come stare in quella sala di incisione, prima a New York e poi a rifare tutto da capo. O come stare nella sala controllo e poter guardare le canzoni prender forma, cambiare ogni volta, per una sfumatura, per una nota in più o in meno di armonica, per una parola sussurrata o urlata o mantenuta o fatta scemare. E, prova dopo prova, sentire lo stesso brivido lungo la schiena.
Blood on the Tracks venne registrato in sei giorni, in due luoghi diversi e Bob Dylan fu capace di smontarlo per andare alla ricerca di quella forma perfetta che poi ne ha fatto un capolavoro. La sua intenzione era quella di dare a quei temi – dolore, perdita, colpa, abbandono – un suono che echeggiasse nel tempo. E, benché si sia sempre stupito del fatto che un album così pieno di dolore potesse aver incontrato tanti ascoltatori, forse era proprio la condivisione quello che ricercava.
La nascita di un capolavoro
La versione originale di Blood on the Tracks era già nota da tempo a tutti i fans di Bob Dylan. Tuttavia qui, oltre ad avere l’esatto suono della registrazione, privo di ogni effetto, ci viene offerto, in ordine cronologico, il costruirsi dei brani: quattro versioni di If You See Her; otto di You’re A Big Girl Now; sette di Simple Twist of Fate; tre di Lily, Rosemary and the Jack of Hearts; quattro di Meet Me In The Morning; nove di Idiot Wind; dieci di Tangled Up in Blue; quattro di Shelter from the Storm; dodici di Buckets of Rain. Più Call Letter Blues, Up to me e Spanish Is the Loving Tongue, che rimasero fuori dal disco ufficiale. E poi ci sono le foto, le varie note, i memorabilia.
La voce di Bob Dylan
La cosa più coinvolgente è la voce di Bob: arriva dritta al cuore, ti taglia in due, è ironica, dolce, sarcastica, brutale, rabbiosa e sempre riesce a farti soffermare su una parola piuttosto che su un’altra. E questo gioco diventa ancora più coinvolgente per quel continuo saltare dalla prima alla terza persona, come se il racconto cambiasse continuamente prospettiva, quasi a voler sottolineare che ogni scena della vita abbia letture diverse e segni differenti. E così diventa ancora più vero quello che Pete Hammill scrive nelle note di copertina della versione ufficiale: Dylan, in ogni singola canzone, lascia sempre uno spazio vuoto, una terra di nessuno, in cui ciascuno di noi è chiamato a riempire il quadro.
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