Jamie Muir: il geniale jolly ritmico dei King Crimson
Se n’è andato, preceduto otto anni fa dal bassista e cantante John Wetton (1949-2017), l’elemento più imprevedibile, eccentrico e radicale dei King Crimson cosiddetti (dal variabile assetto delle formazioni con unico comune denominatore Robert Fripp) Mark III: quelli dal 1972 al ‘74, i più amati da molti appassionati. Artefici d’un tetragono e affascinante hard rock progressivo, diversi dalle versioni del gruppo nei tre anni da In the Court of the Crimson King, 1969, leggendario disco d’esordio, al quasi altrettanto memorabile Islands, 1971, quei King Crimson furono secondi all’epoca solo alla Mahavishnu Orchestra per indole visionaria e potenza del suono, oltrepassandola in durezza.
Jamie Muir svolgeva la benefica funzione destabilizzante del rumorista. Ricorrendo a percussioni d’ogni genere, fischietti, trombette, campanelli, il suo compito era innestare l’effetto disturbante e creativo dell’imponderabile nella musicalità gagliarda e immaginifica elaborata da Fripp, chitarra e mente del gruppo, Wetton, cantante e bassista dalle spiccate qualità compositive, Bill Bruford, talentuoso batterista che aveva lasciato gli Yes al culmine del successo per accettare l’incerta ma più seducente avventura con i Crimson, David Cross, violinista e polistrumentista dalle notevoli capacità di adattamento sia lirico che dinamico.
Lo scozzese Muir, con il suo libero approccio all’apparenza esaltato, sapeva contestualizzare sonorità inimmaginabili ricavate da foglie secche, lastre flessibili di metallo, bottiglie di plastica, catene, seghe, martelli e altri improbabili oggetti trasformati dal suo ingegno in strumenti musicali. La batteria da lui suonata trascendeva il mero accompagnamento per scolpire il suono. Il suo approccio spiritato al palcoscenico, dove si muoveva a scatti in abiti eccentrici come una pelliccia da cavernicolo ed espressioni sconcertanti come un fiotto di sangue (finto) dalla bocca, lo rendevano un inusuale performer oltre che un musicista sperimentale.
Gli anni prima e dopo i King Crimson
“Robert Fripp stava cercando di formare una nuova band e ricevetti una sua telefonata. Credo che sia stato Richard Williams del Melody Maker a fargli il mio nome. Io allora stavo provando con Alan Gowen e gli altri, e per la verità se la sono presa abbastanza quando me ne sono andato. I King Crimson sono la sola band veramente famosa nella quale sono stato. Fripp era aperto e credeva molto nella fusione di elementi musicali disparati per produrre musica interessante, benché mantenere l’unità del gruppo fosse difficile, come dimostrava la storia stessa dei King Crimson. Quando provavamo eravamo agitati e tentavamo d’improvvisare anche in studio. Fripp era senza dubbio il capo e lo ritenevo giusto perché mi sembrava un leader molto in gamba. Penso che credesse che mi facevo trascinare un po’ troppo dall’improvvisazione, mentre lui seguiva metodicamente una logica mirata allo scopo e studiava sempre i suoi assolo prima di eseguirli. Era molto pignolo e severo. (…) Per una persona come lui, lavorare con uno come me era una decisione davvero ammirevole”. Così Jamie Muir ha parlato nel libro King Crimson: gli Anni Prog di Andrea Soncini, Giunti, dei circa otto mesi che lo videro far parte dei King Crimson.
Da ragazzo, Jamie aveva provato diversi strumenti prima di stabilizzarsi sulla batteria, appassionandosi ai dischi di Albert Ayler (1936-1970) e di Pharoah Sanders (1940-2022), improvvisando musica nella natia Edimburgo insieme ad altri aspiranti musicisti. Un riferimento importante di quegli anni è il percussionista americano Milford Graves (1941-2021). Il chitarrista Derek Bailey (1930-2005), futuro padre dell’improvvisazione libera, lo nota a un concerto e lo invita nella sua band, per cui Muir si trasferisce a Londra. Da quell’esperienza scaturirà la Music Improvisation Company che nel 1970 pubblicherà, per la prestigiosa etichetta ECM, un album il cui titolo è il nome del gruppo.
Muir incomincia a interessarsi a contaminazioni con il rock e suona in gruppi misconosciuti come i Battered Ornaments, i Boris, gli Assagai con i musicisti sudafricani Mongezi Feza (1945-1975), Dudu Pukwana (1938-1990) e Louis Moholo che entreranno a far parte di quell’area britannica di jazz libertario il cui riferimento è Keith Tippett (1947-2020). L’ultima esperienza prima dei King Crimson sono i Sunship con il tastierista Alan Gowen (1947-1981). Lo scozzese tornerà brevemente a fare musica nei primi anni Ottanta con Derek Bailey realizzando con lui l’album Dart Drug, 1981, e poi con il compositore David Cunnungham, della band new wave Flying Lizard, nonché Michael Giles, indimenticato batterista della prima formazione dei King Crimson. Il disco che registreranno nell’83 sarà pubblicato solo tredici anni dopo come colonna sonora del film Ghost Dance. A quel tempo, Jamie Muir avrà già lasciato la musica per dedicarsi alla pittura nel suo studio in Cornovaglia.
Lingue di allodola in gelatina
Nato nel 1942, Muir è l’elemento più anziano in quei King Crimson: Fripp è del ’46, Cross del ’48, Wetton e Bruford del ’49. Sul sito della DGM o Discipline Global Mobile, l’etichetta discografica fondata nel 1992 con il suo produttore David Singleton per diffondere il verbo dei Crimson e dintorni, lo stesso Fripp così ha ricordato la scelta di arruolare il creativo rumorista, inaugurando la prassi del doppio batterista che rinnoverà negli anni Novanta e nell’ultima fase dell’attività del gruppo, quella dal 2014 al 2021: “All’improvviso ho pensato: beh, Bill è un batterista adorabile ma forse è un po’ troppo inquadrato per alcune cose… Poi ho ricordato questo pazzo Jamie Muir che avevo appena incontrato e ho riflettuto: beh, Jamie è un grande batterista ma non è abbastanza inquadrato per alcune delle cose che vorrei che facesse … All’improvviso ho avuto l’idea di farli suonare entrambi, mi sembrava così giusto”.
I King Crimson Mark III esordiscono nell’ottobre 1972 prima d’un tour nei due mesi conclusivi dell’anno. Il primo concerto, per complessive tre date il 13, 14 e 15 ottobre, è allo Zoom Club di Francoforte. Segue, il 17 ottobre a Brema, la registrazione d’una trasmissione televisiva della nota serie Beat Club. Tornati nel Regno Unito, i King Crimson ricevono giudizi lusinghieri dalla stampa per i loro concerti. Scrive Martin Marriott del New Musical Express: “Aggredendo il suo vasto campionario siderurgico come un pazzo, un guerriero pazzo ma perfettamente sincronizzato, che ringhia e s’insinua a ventre scoperto fino a bordo palco, Jamie Muir ha incantato il pubblico fin dall’inizio. Molti erano deliziati, non pochi erano in qualche modo perplessi” (sempre dal libro di Andrea Soncini).
Nel gennaio ’73, confortati dall’entusiasmo del pubblico e della critica per i loro concerti, i cinque entrano nei Command Studios di Londra per registrare il loro primo disco. Larks’ Tongues in Aspic, lingue d’allodola in gelatina, è il titolo del primo dei tre grandi album che i King Crimson Mark III realizzeranno nei successivi venti mesi della loro esistenza. È un’intuizione di Jamie per sottintendere la musicalità aspra e morbida, a seconda dei momenti, di cui il gruppo è capace. A lui è affidata l’introduzione: due minuti e mezzo di gamelan, le percussioni indonesiane già apprezzate, alla fine dell’Ottocento, da Claude Debussy. La copertina, commissionata da Fripp allo studio grafico Tantra Designs, raffigura il Sole e la Luna che si compenetrano in maniera analoga al principio dualista della tradizione cinese di yin (nero) e yang (bianco): rivaleggia in bellezza espressiva con l’uomo schizoide del primo album disegnato dal programmatore Barry Godber e con la miniatura del terzo acquerellata dall’illustratrice Gini Barris.
Larks’ risulterà un disco di transizione con momenti di grande musica, ma anche con la delusione per la mancanza di quell’energia creativa sprigionata nei concerti. Dirà Muir: “Fu molto difficile ottenere quel tipo d’improvvisazione su disco. Eravamo interessati al potenziale del gruppo e a sviluppare una musica di enorme forza. Quando iniziai a suonare sull’album avrei dovuto essere molto più aggressivo: fogli metallici sbatacchiati e agitati, pile di stoviglie infrante, quel tipo di suoni – cose che Robert avrebbe trovato un po’ esagerate” (Andrea Soncini, citato).
Il giocoso addio
Il 19 febbraio scorso Robert Fripp ha commentato su Instagram: “La famiglia di Jamie si è messa in contatto di recente, e generosamente, per informarmi delle sue condizioni. La mia risposta … Quando Jamie lasciò i King Crimson all’inizio del 1973, mi inviò una cartolina con sul davanti: tutto fa parte del ricco arazzo della vita. E sul retro: Coo-ee. Jamie. Se lo ritenete appropriato e non invadente in alcun modo, per favore ditegli: tutto fa parte del ricco arazzo della vita. Coo-ee. Robert. Ieri sera questa e-mail… “Jamie è morto questo pomeriggio. Suo fratello, George, era con lui e questa mattina gli ha letto le tue affettuose parole. Ha detto che Jamie ha sorriso”. Jamie Muir ha avuto un’influenza importante e continua sul mio pensiero, non solo musicale. Una persona meravigliosa e misteriosa. Dei cinque membri dei KC 1972, Jamie aveva la maggiore autorità, esperienza e presenza. Buon viaggio, maestro Muir”.
Il rumorista geniale lascia i King Crimson all’improvviso, il 10 febbraio 1973, dopo il primo di due concerti al Marquee Club di Londra. Più o meno confusamente si parla d’un incidente. In realtà Muir, che si era avvicinato al buddismo, viveva un disorientamento simile a quello che nell’estate dell’anno dopo avrebbe indotto Fripp a sciogliere il gruppo, ad abbracciare la filosofia di George Ivanovich Gurdjieff (1872-1949), a entrare nell’International Academy for Continuous Education del suo discepolo inglese John Godolphin Bennett (1897-1974) e a terminare, momentaneamente, la sua esperienza di musicista. Accadimenti di natura spirituale inducono Jamie a entrare nel Kagyu Samye Ling Buddhist Monastery and Tibetan Centre a Eskdalemuir, in Scozia, dove resta a meditare per un anno e mezzo. “Diventai monaco e presi le vesti. Non ero molto felice di deludere le persone, ma era qualcosa che dovevo fare altrimenti sarebbe stato fonte di profondo rimorso per il resto della mia vita. Ho meditato molto – il che è più attivo di quanto alcune persone sembrano pensare – e ho trascorso molto tempo in ritiro”: così, sul sito della DGM, Muir spiega la sua scelta. Avrebbe ritrovato i King Crimson il 22 ottobre 2022 assistendo a Londra alla prima del film documentario In The Court of the Crimson King: King Crimson at 50, per il quale era stato intervistato.
Robert Fripp dirà nel 1992: “Jamie era un essere umano troppo intelligente ed equilibrato per rimanere a lungo con il gruppo. Di fronte alle assurdità della vita sulla strada ha optato per la vita”. Il senso della perdita del genio dei suoni imprevedibili lo ha invece dato David Cross nel libricino allegato alla raccolta The Great Deceiver: “Ne fui molto triste. Lui rappresentava il legame con un mondo pazzo e meraviglioso che si stava dileguando. Era tempo di diventare seri”.