Willy DeVille: concerti ed emozioni.
Dei miei tre concerti che non dimenticherò mai il primo, andando a ritroso nel tempo, si è svolto all’Atlantico di Roma il 6 novembre 2013. Bob Dylan in una serata storica deliziò il pubblico proponendo in scaletta canzoni completamente nuove rispetto alla sua setlist abituale, per rendere omaggio a una città che per lui ha da sempre un significato particolare: la nostra capitale. A seguire ricordo la data dei Rolling Stones allo stadio di San Siro nel luglio 2006.

Keith Richards aveva da poco subito una delicata operazione al cervello. Quella sarebbe stata la sua prima esibizione post-intervento. Sia lui che l’entourage medico erano in apprensione, confessa Richards nell’autobiografia Life. Tutto filò liscio, e nel vedere Keef correre esuberante verso la nostra ala dello stadio mi misi a saltare e gridare dalla gioia come se il convalescente fossi stato io. Il terzo concerto fu quello di Willy DeVille a Madrid, non so più di preciso se nel 1990 o nel 1991. Mi trovavo lì in vacanza con un amico, e scoprimmo per puro caso che si sarebbe esibito in un centro commerciale di periferia, niente di più lontano dalle atmosfere tipiche di DeVille. Ma appena lui entrò in scena tutto cambiò, e fu un’esperienza indimenticabile.
Love and Emotion – Una storia di Willy DeVille
La maestria e la potenza dal vivo di Willy DeVille sono descritte con la giusta devozione da Mauro Zambellini in Love And Emotion (Pacini Editore), un libro che ne ripercorre le tappe musicali e la cui portata non va affatto sottovalutata. Love And Emotion costituisce al giorno d’oggi, per quanto mi risulta, l’unica biografia musicale del Nostro mai scritta in ambito internazionale. Tutto questo è abbastanza triste. A Zambellini va senz’altro il merito di aver fatto da apripista e spianato la strada per i dovuti riconoscimenti postumi che prima o poi senz’altro arriveranno per Willy DeVille, uno dei più grandi misconosciuti del rock’n’roll, scomparso nel 2009, che il successo l’ha più volte sfiorato con collaborazioni del calibro di Jack Nitzsche e Mark Knopfler, l’ha accarezzato con pezzi come Demasiado Corazón (come Mink DeVille) o il rifacimento di Hey! Joe in stile mariachi, ma non l’ha mai pienamente raggiunto. Forse perché poco si piegava alle esigenze dell’epoca di MTV e molto si scontrava con le ottusità del mercato discografico.
La biografia musicale di Willy DeVille
Tre città lo caratterizzano: New York, New Orleans e Parigi. Odiava invece Los Angeles. “Non vedi mai bambini in giro, secondo me se li mangiano”, disse in un’intervista, anche se proprio a Los Angeles registrò la versione di Hey! Joe che contribuì alla nascita di un genere in alcuni circoli denominato “Spanish-Americana”. A onor del vero, durante il concerto di Madrid, Willy si rivolse sempre e solamente in inglese al pubblico. Il suo fare latineggiante era probabilmente più un omaggio alla cultura ispanica che vera e propria padronanza della lingua.
Pur essendo originario del Connecticut, Willy DeVille nasce artisticamente a New York. Viene erroneamente assimilato all’ondata punk emergente dei Television, Ramones e Blondie, mentre i suoi modi da re romantico dei bassifondi risentono piuttosto dei vari microcosmi che compongono quella straordinaria città. “I visi, i ritmi, le voci nelle strade non sono gli stessi delle vicine Bowery, Little Italy e Chinatown, qui il tempo sembra rallentare, le bodegas parlano di altre culture, ed esperienze, i murales celebrano il passato e si alternano a quelli che narrano il retaggio caraibico con colori nitidi e solari, le bancarelle offrono cuchifritos, lo stereo trasmette salsa e le piccole sinagoghe sopravvissute si appoggiano alle botanicas che vendono gli oggetti misteriosi della santeria”, scrive Zambellini a proposito della Grande Mela.
Ho avuto anch’io il mio anno vissuto pericolosamente, e l’ho trascorso a New York prima che Rudy Giuliani la ripulisse. Nei primi mesi abitavo in Canal Street a Chinatown, con piccoli topi in casa. Poi mi sono trasferito a Times Square, che allora era il regno dello spaccio del crack. Infine a Spanish Harlem. Ma uno dei luoghi che ho frequentato di più è stata Avenue D nell’East Village, ben diverso dall’ormai gentrificato West Village, perché lì viveva il mio miglior amico. Ogni volta che ascolto le canzoni newyorkesi di Willy DeVille risento l’odore di quei posti, lo giuro. Forse ad avvicinarsi a quei sapori ci riescono soltanto Dirty Blvd di Lou Reed e alcuni film di Abel Ferrara di quel periodo.
Un autore poliedrico
Il personaggio artistico di DeVille ha attraversato più trasformazioni dello stesso David Bowie. Da New York si trasferisce nella Parigi della sua idolatrata Edith Piaf, si lascia sedurre dal fascino della città e dà vita all’album Le Chat Bleu. Una delle sue fondamentali incarnazioni successive avviene a New Orleans, la cui anima profondamente musicale viene omaggiata in lavori in studio dal valore eccelso come Victory Mixture e Backstreets of Desire. Il successivo Loup Garou racconta invece il lato più oscuro di New Orleans.
L’ultima trasformazione degna di nota vede Willy DeVille nei panni del nativo americano, come documentato nel cd Pistola, il suo ultimo atto sul palcoscenico della musica rock. Si tratta di un ritorno alle origini, essendo egli di discendenza indiana, di lignaggio Pequot per la precisione. Ma il suo lascito artistico va inquadrato nella sua totalità, perché – come commenta Zambellini – “per tutta la sua carriera operò in termini di acculturazione forgiando un nuovo linguaggio musicale dall’incontro di altri preesistenti, eleggendo l’ibrido a forma stilistica. Non ebbe mai espliciti riconoscimenti dall’intellighenzia musicale, un paradosso se si pensa a un’avventura artistica tra le più interessanti e variegate. Nemmeno da morto ha ricevuto l’onore che si meritava”.
Eppure non è detto che le cose non stiano per cambiare. Bob Dylan in una sua dichiarazione del 2015 ha auspicato un posto di rilievo per Willy DeVille presso il museo della Rock and Roll Hall of Fame. Potrebbe davvero essere il primo passo verso una doverosa rivalutazione di un grande bluesman americano.