di Fausto Meirana
Che cos’è questa merda? Con queste parole Greil Marcus, giornalista di Rolling Stone, benedì nel 1970 l’uscita di Self Portrait; forse era un’abile provocazione, fatto sta che, quarant’anni dopo, il parecchio controverso doppio LP, che molti hanno saltato a piè pari, calpestandolo anche un po’ nella foga, fa ancora discutere. Per fare un po’ di chiarezza, nell’edizione normale (due CD) ci sono 35 tra inediti e versioni alternative di brani presenti sul disco in questione o provenienti, soprattutto, dalle session di New Morning e Nashville Skyline, ma anche dai Basement Tapes e dall’esibizione all’ Isola di Wight del ’69. Per chi cerca la completezza, nell’esosa special edition (quattro cd+libro) c’è anche l’originale, rimasterizzato, Self Portrait e il live set di Wight con The Band. L’intento di riabilitare l’opera, unito a quello di sedurre gli incalliti fan, è perfettamente riuscito, confermando ancora una volta il genio di Dylan per scelta del materiale e dei collaboratori, e un certo autolesionismo per quanto riguarda la compilazione delle scalette. Conviene subito rendere omaggio a un personaggio che suona (e come!) nel 90% dei brani, il chitarrista David Bromberg, e affianca le sue preziose corde a quelle più rudi del leader. Una collaborazione che si sarebbe ripetuta ancora negli anni ’90 e che forse un giorno, speriamo, sarà pubblicata in un cd delle Bootleg Series. Grande spazio anche per Al Kooper, ma niente Hammond in queste incisioni, solo piano, mentre George Harrison conta due presenze: una nell’improvvisata Workin’ On A Guru e l’altra in Time Passes Slowly #1. Piuttosto importante, come testimonianza del contesto dell’epoca, il tributo ad alcuni colleghi cantautori quali Eric Andersen (Thirsty Boots), Tom Paxton (Annie’s Going To Sing Her Song) e il meno noto country-man Eddie Noack (These Hands). Nel disco sono presenti anche un gran numero di traditional, tra i quali bisogna almeno segnalare le ottime versioni di Pretty Saro e di House Carpenter. Le take alternative di brani editi, comunque, sono ugualmente interessanti perché spogliate da inutili orpelli , oppure trasformate in toto come l’irriconoscibile Went To See The Gypsy dove Dylan si accompagna con un piuttosto inconsueto piano elettrico.
8,5/10
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Bob Dylan & The Band – I Threw It All Away