Cat Power – Covers

Cat Power e le Covers

Diciamoci la verità, sette album in 22 anni, dei quali ben tre sono di cover, non danno una immagine di grande produttività creativa, ma fin dal The Covers Record del 2000, Cat Power non ha mia nascosto di considerarsi anche e forse soprattutto una interprete. E così dopo che Wanderer nel 2018 aveva un po’ riconciliato Chan Marshall con il suo pubblico, soprattutto quello della prima ora, rimasto deluso dalle non proprio riuscitissime divagazioni di Sun del 2012, la Power torna a rileggere songbooks altrui, chiudendo così una triade che aveva in Jukebox del 2008 il punto centrale. Se Jukebox era dal punto di vista produttivo una sorta di ottimo compendio al “soul-folk” di The Greatest, questo Covers (forse magari un titolo più originale lo meritava però…) si distacca dai suoi predecessori cercando di amalgamare classici vecchi e nuovi in uno stile che unisce la vena indie-folk della prima ora, con le sperimentazioni più recenti.

Le scelte e le riletture

Al di là di quello che poi uno può trovare nella singola interpetazione di brani magari già più che amati (ad esempio personalmente trovo azzeccata la These Days di Jackson Browne perché guarda con rispetto alla primissima versione di Nico, mentre invece l’epica Against The Wind di Bob Seger ne esce un po’ distrutta nello spirito), quello che un po’ infastidisce stavolta è che più che di un omaggio complessivo, si tratta di un gioco, se non quasi una sfida, a rendere propri e uniformi materiali apparentemente inconciliabili come brani di Frank Ocean o dell’amica Lana Del Rey (la sua White Mustang resta una delle cose più riuscite), con classici dei bassifondi degli anni Ottanta come Here Comes a Regular dei Replacements o il classico dei Pogues, A Pair of Brown Eyes, per non parlare di standards come I’ll Be Seeing You di Billie Holiday o il suo consueto atto d’amore per la country music con It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels di Kitty Wells.

 

Paradossalmente le cose migliori arrivano laddove non ci si aspetta nulla, perché Pa Pa Power dei Dead Man’s Bones dell’attore Ryan Goslin non se la ricordava nessuno, e qui ne esce come uno dei pezzi più notevoli, oppure anche grandi nomi come Iggy Pop o Nick Cave vengono riletti in episodi poco celebrati come Endless Sea (era su New Values del 1979) o I Had a Dream Joe, brano la cui enfatica teatralità dell’originale ben si sposa con il suo modo di cantare. C’è tempo anche per l’auto-cover di Unhate, remake della Hate che era su The Greatest, piccolo tripudio di voci sovraregistrate che esalta il suo lato più coraggioso e musicalmente autarchico.

Il giudizio

Nel complesso però se The Covers Album pareva il giusto elenco di influenze che avevano animato i suoi primi quattro album (dove comunque non erano mancate altre cover), Jukebox la dichiarazione di raggiunta maturità e padronanza dei propri mezzi (tanto da uscirne vincente anche da una rilettura di New York, New York di Liza Minelli), Covers (Domino) pare più un disco in cui Cat Power ha voluto sviluppare nuove idee stilistiche, ma senza rischiare di sprecare brani propri in un prodotto che appare riuscito solo in parte, e forse inesorabilmente destinato ad apparire minore nell’ambito della sua discografia.

Cat Power – Covers
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Scrive regolarmente di musica dal 1992 per varie testate e siti web di settore (Mucchio Selvaggio, Il Buscadero, Rootshighway, FilmTV). Nel 2009 il suo racconto La Pistola ha ottenuto la Menzione Speciale della Critica al Concorso Quaderni Rock del MEI. Nel 2010 ha pubblicato Rolling Vietnam – Radio-grafia di una guerra (Pacini Editore), nel 2017 il thriller Musical 80 (WLM).

Di Nicola Gervasini

Scrive regolarmente di musica dal 1992 per varie testate e siti web di settore (Mucchio Selvaggio, Il Buscadero, Rootshighway, FilmTV). Nel 2009 il suo racconto La Pistola ha ottenuto la Menzione Speciale della Critica al Concorso Quaderni Rock del MEI. Nel 2010 ha pubblicato Rolling Vietnam – Radio-grafia di una guerra (Pacini Editore), nel 2017 il thriller Musical 80 (WLM).

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