Cate Le Bon - Pompeii

Cate Le Bon e la sua Pompeii gallese e un po’ lugubre

Cate Le Bon, pseudonimo di Cate Timothy, è una cantautrice (e produttrice) gallese che a ogni precedente uscita ha suscitato  reazioni contrastanti. Qui a tomtomrock ha sempre lasciato qualche piccolo dubbio, come mostrano le recensioni del remoto Mug Museum (2013)  e del più recente  Reward (2019), nominato tra i  migliori dischi di quell’anno per il rispettabile Mercury Prize.

La musica estremamente calcolata  della Le Bon ha certamente bisogno di essere avvicinata con cautela, vista la freddezza della confezione e la voce un po’ meccanica, quasi sintetica. Pompeii (Mexican Summer) potrebbe ricordare, a tratti, l’ultimo lavoro di Tamara Lindemann – The Weather Station, Ignorance. Però, nonostante la comune convergenza verso l’elettronica, la canadese vince per intensità e comunicativa.

Temi e suoni di Cate Le Bon – Pompeii

Il disco nasce, come tanti, in un isolamento che trascende il momento storico, in una località del Galles che viene comodo immaginare remota e piovosa, anche rispetto ai lugubri temi affrontati. Quasi tutto è suonato dalla Le Bon, dalle tastiere al basso, lo strumento che predilige per la composizione. La necessaria rifinitura ha visto il contributo di altri due musicisti, la batterista Stella Mozgawa e il sassofonista Euan Hinshelwood,  ospiti  importanti ma un po’ costretti nella rigidità delle composizioni.

Quando l’immagine sonora si apre, ad esempio nella facile Harbour (che ricorda persino la Wonderful Life di Black…),  è come un raggio di sole nella brughiera, ma siamo già a metà scaletta. Di seguito  la scaletta finalmente  si scuote, con i  ritmi più decisi e le  chitarre simil-frippiane di Running Away. Il  brano inietta nel disco un’inaspettata energia, fatta  di suoni sintetici, ma piena di calore. Il lavoro si avvia verso la conclusione con tre brani altrettanto riusciti che culminano nel languido e inesorabile pulsare di Wheel. Un sognante congedo che, speriamo, preluda ad una svolta nella carriera di un’artista  che, dalla copertina,  ci scruta con uno sguardo a metà tra stupore e arroganza (e quel  copricapo da crocerossina).

Cate LeBon - Pompeii
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Recensore di periferia. Istigato da un juke-box nel bar di famiglia, si cala nel mondo della musica a peso morto. Ma decide di scriverne  solo da grande, convinto da metaforici e amichevoli calci nel culo.

Di Fausto Meirana

Recensore di periferia. Istigato da un juke-box nel bar di famiglia, si cala nel mondo della musica a peso morto. Ma decide di scriverne  solo da grande, convinto da metaforici e amichevoli calci nel culo.

Un pensiero su “Recensione: Cate Le Bon – Pompeii”
  1. […] Penelope Lowenstein, Nora Cheng e Gigi Reece (nomi da film di Woody Allen, viene spontaneo pensare) formano le Horsegirl da studentesse liceali a Chicago. Poi lasciano la Motor City per andare a frequentare la New York University, sempre continuando a suonare insieme. Nel 2022 incidono per  la Matador l’album d’esordio Versions Of Modern Performance: i suoni sono giovanilmente spigolosi con un bel po’ di distorsioni che molto devono a eroi indie come Yo La Tengo e Pavement e in un pezzo compare nientemeno che Lee Ranaldo dei grandi maestri  Sonic Youth. Per incidere il secondo disco le ragazze decidono di tornare a Chicago (nello studio The Loft di proprietà dei Wilco) e affidarsi alla produzione di Cate Le Bon. […]

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