Francesco Guccini - Canzoni da osteria

Francesco Guccini: l’arte del Maestrone e la mia distanza 

Quand’ero giovane non mi sono mai troppo interessato all’attualmente quasi ottantaquattrenne Francesco Guccini, decano dei cantautori italiani. Nonostante il suo indiscutibile valore, che mi era ben chiaro, da lui mi distanziavano una retorica, un tono, una metafisica che avvertivo vetusti, didascalici, desueti. In parole povere: un disco di Guccini mi annoiava. La sua voce e la sua figura mi stancavano. Non avevo voglia di andare in profondità.

Sbagliavo. Lui, modenese di Bologna e montanaro d’Appennino per essere cresciuto a Pàvana, provincia di Pistoia, dov’è ritornato da anziano a vivere nella casa di famiglia, in oltre sessant’anni ha elaborato e narrato (in musica, in letteratura, in cinematografia) un mondo, suo e di tanti, a cui si può appartenere territorialmente e/o generazionalmente. Oppure ci si può entrare, come per ogni artista vero, volendolo scoprire con pazienza e dedizione: appassionatamente. 

Ai tesori, si sa, non è facile arrivare. Quando ho avuto voglia di applicarmi a conoscere abbastanza Francesco Guccini, ho trovato infine l’accesso al forziere che conteneva il suo.

L’intorto in osteria

Pubblicando due anni fa Canzoni da Intorto e qualche settimana fa il disco gemello Canzoni da Osteria (“Ventidue canzoni, in un disco solo, sono troppe: lo abbiamo diviso in due” annunciò presentando il primo), Guccini ha innescato un recupero della cultura popolare che il maestro di tutti i cantautori, Bob Dylan, rendendosi anche lui interprete, aveva attuato trent’anni più giovane, nei primi Novanta, pubblicando gli album Good as I Been to You e World Gone Wrong. Se però Dylan aveva tratto, prevedibilmente, dallo sterminato repertorio del folk americano, Guccini ha ampliato il cerchio ricorrendo alla sua sensibilità affettiva: una sorta d’internazionalismo tosco emiliano proprio dell’ambito socioculturale e cantautorale di appartenenza. Ecco quindi canzoni amate, politiche e non, cantate in molteplici dialetti, in inglese, in greco, in catalano, in ebraico e così via, secondo una personale geografia del cuore e della curiosità. 

Non manca, nella logica rigorosa del progetto, un sottofondo d’umorismo e di divertimento. “La parola intorto è di origine gergale e significa imbonire, circuire per convincere qualcuno a prestarsi a proprio vantaggio” ha detto l’autore in un incontro pubblico. “La frase canzoni da intorto fu pronunciata da mia moglie Raffaella durante un pranzo con i discografici e fu accolta con entusiasmo come titolo definitivo d’un disco che non mi trovava, allora, del tutto consenziente. Significherebbe che le canzoni da me spesso cantate in allegre serate con amici servivano solo ad abbindolare innocenti fanciulle che, rese vittime dal fascino di quelle canzoni, si piegavano ai miei voleri. Ammetto che un paio, forse, potrebbero essere state usate proprio per questo. Ma solo per un paio di volte e non di più”. 

Per quanto sia veramente difficile immaginare, anche nella Bologna più orgogliosamente di sinistra del Guccini con l’eskimo in via Paolo Fabbri 43, ragazze talmente infervorate da una composizione come, ad esempio, Per i Morti di Reggio Emilia, resta l’abilità d’intortare con canzoni serie e senza tempo. Canzoni di vita vera che avevano, e hanno, un’utilità profonda.

È un’idea che parte da lontano. “Quando ho iniziato a pensare a questa folle operazione tanti anni fa, volevo realizzare un disco di cover, ma il mio manager di allora non voleva. Ai tempi avrei scelto Com’è Profondo il Mare di Lucio Dalla o Luci a San Siro di Roberto Vecchioni. A questo giro invece ho scelto le canzoni che ho cantato con gli amici, per i familiari. Sono brani che nessuno quasi conosce, con dietro delle storie, per questo possono colpire e intortare” ha dichiarato Guccini a La Repubblica. 

Una gloriosa e felice conferma

Canzoni da Intorto era stata la sorpresa inaspettata del suo ritorno a fare dischi dopo un decennio di ritiro dai palcoscenici (definitivo) e dagli studi di registrazione. Canzoni da Osteria prosegue felicemente … l’intorto. Il diciottesimo album in studio del Maestrone non è più una sorpresa, ma un ritorno previsto e atteso.

L’autore, come promesso, rivisita a modo suo altre quattordici canzoni popolari. Talvolta le rende attuali. È il caso di Bella Ciao, un canto delle mondine divenuto dopo la guerra, nella forma attuale, l’inno alla Resistenza che tutti conoscono, quindi un omaggio alla libertà adattabile in tutto il mondo. Guccini, cantando un verso anche in farsi, lo dedica alla lotta delle donne iraniane all’oppressione teocratica. C’è Hava Nagila, una canzone popolare ebraica di origine ucraina. Celebra la vittoria britannica nella prima guerra mondiale e la dichiarazione di Balfour, ma non c’entra con le guerre che fa venire in mente (la posizione di Guccini su quella tra israeliani e palestinesi, del resto, è stata resa da Il Vecchio e il Bambino nei bei disegni di Sergio Staino musicati nel video da Giovanni Arzuffi). Guccini ha scelto di proporla in onore d’un amico ebreo che gli aveva telefonato per ricordare il tempo trascorso insieme all’Osteria delle Dame: una delle tre, insieme a quella dei Poeti e a quella di Gandolfi, frequentate a Bologna dal Guccini giovane. Nell’ultima ci andava anche un ragazzo greco che cantava 21 Aprile, canzone contro il golpe in Grecia dei colonnelli del 1967. Guccini l’ha voluta per concludere il disco. 

Le restanti undici cantano l’amore (La Tieta, Maria la Guerza, Amore Dove Sei) e il Sud America (Jacinto Chiclana, El Caballo Negro, La Chacarera del 55 e Sur), oppure ricorrono al dialetto bolognese (La Maduneina dal Baurgh ‘d San Pir) e a quello veneto (Il Canto dei Battipali), non trascurando il folk americano (Cotton Field, The Last Thing on My Mind). Il titolo richiama un elemento, le osterie, caro alla poetica gucciniana. “Le osterie erano posti tristi, piene di anziani signori, che peraltro erano più giovani di quello che sono io ora, semi alcolizzati” ha ricordato. “Sonnecchiavano davanti ai vini che erano di due categorie: rosso e bianco, sangiovese e albana. C’era anche la possibilità di mangiare un uovo sodo per pochi soldi. Noi eravamo lì con la chitarra e le ragazze. I vecchietti erano contenti di avere la gioventù intorno. C’erano molti stranieri e studenti universitari. Erano serate con le chitarre. Esagerando, spendevi mille lire”.

Ernia e Rutto

“Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale” cantava Lucio Dalla, uno che Guccini conosceva dagli anni Cinquanta e con il quale nei Settanta avrebbe voluto fare una radio libera pur non essendo mai stati, a suo dire, veramente amici, in Disperato Erotico Stomp, una delle sue narrazioni più divertenti e meno celebrate. Canzoni da Intorto e Canzoni da Osteria sono dischi pubblicati su cd e su vinile, non in streaming sulle piattaforme internet. Il primo, certificato Disco di platino in quanto album fisico più venduto in Italia nel 2022, ha fatto vincere al suo autore la Targa Tenco per la categoria “interprete di canzoni”. Quando si è trovato nei primi posti della classifica insieme a personaggi improbabili come il rapper Ernia, l’ottuagenario Maestrone ha commentato da par suo: “Potrei farmi chiamare Rutto, così non sfigurerei”.

Canzoni da Osteria ha rinnovato l’impresa debuttando al secondo posto. Come il precedente è arrangiato da Fabio Ilacqua che ne ha anche seguito la produzione artistica insieme a Stefano Giungato. È disponibile in cinque diversi formati: cd, cd limited edition maxi formato, vinile, vinile special edition (edizione limitata numerata e colorata). Per gli appassionati, infine, c’è il box deluxe Canzoni da Intorto e da Osteria con due vinili lp bianchi incisi direttamente dal mix, un vinile 45 giri con Ma Mi cantata con Ornella Vanoni sul primo lato e Bella Ciao cantata con Tosca sul secondo, la riproduzione d’un disegno del 1965 numerato e autografato da Francesco Guccini, un libro con il racconto del progetto nonché tutti i testi e le traslitterazioni. Infine, i due album in formato cd con il codice per scaricarli da internet.  

 

Francesco Guccini - Canzoni da osteria
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Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

Di Pietro Andrea Annicelli

Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

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