Tra musica e poesia: Michele Gazich – Argon.
Quando si ascolta un disco di Michele Gazich è sempre difficile capire se in esso prevalga il musicista o il poeta. Ma è ovviamente una domanda senza risposta, oltre che un falso problema. Gazich si nutre di poesia e riesce mirabilmente a produrne rivestendola di un accompagnamento che si fonde con essa fino a formare un unicum di grande fascino e suggestione. A differenza del precedente Temuto Come Un Grido, Atteso Come Canto, Argon (FonoBisanzio) non si presenta come un concept album, ma fili che tengono insieme gli otto brani che lo compongono ce ne sono eccome! In un certo senso Argon è anche un omaggio ai riferimenti culturali di Gazich, a cominciare da quel Primo Levi che ha dato lo stesso titolo al primo dei racconti chimico-autobiografici che compongono Il Sistema Periodico.
Riferimenti e dediche
Il comportamento di questo gas – “inerte, nobile, raro” – è preso, nel brano eponimo che apre il disco, a metafora della vita degli ebrei piemontesi, vissuta silenziosamente quanto dignitosamente a margine della società, ma non per questo meno attiva. La Maga E Lo Straniero, sotto l’apparenza di una sorta di filastrocca che talvolta ricorda a ritmo leggermente rallentato Volta La Carta di De André, mette in scena una metafora del viaggio come ricerca della conoscenza e del proprio destino; tema non estraneo anche al brano successivo, una cover di Ulisse Coperto Di Sale di Lucio Dalla, ma il cui testo è dovuto alla penna di un poeta come Roberto Roversi. E ad un’altra dei suoi poeti preferiti, Ingeborg Bachmann, è ispirata e dedicata Il Fuoco Freddo Della Luna, quasi a chiudere un cerchio idealmente aperto qualche anno fa con Il Latte Nero Dell’Alba, dedicata a quel Paul Celan anch’egli grande amore di Gazich e della stessa Bachmann. Chiari i riferimenti a Montale in Canticchiare Aiuta e commovente la “dedica” a Claudio Lolli in quella Lettera A Claudio che chiude il disco.
I momenti migliori
Il brano forse più “intrigante” – mi si passi l’aggettivo orribile e abusato, ma che una volta tanto mi pare appropriato – è Il Vittoriale Brucia, dove si “rivaluta” umanamente – e anche “politicamente” – la figura di un D’Annunzio sostanzialmente prigioniero del fascismo, pur se in una prigione dorata: fascismo che forse, si adombra nel testo, ha anche cercato di eliminarlo senza riuscirci. Ma il brano forse più commovente, quello in cui la simbiosi tra testo e musica – caratteristica peraltro precipua di tutta la produzione di Gazich – raggiunge il vertice è a mio parere quello in cui il musicista bresciano “nasconde” i propri ben assimilati riferimenti e si fa più che mai “poeta” in prima persona. Si tratta de Il Fiume Circolare, che peraltro prende anch’esso spunto da una frase scritta a mo’ di dedica su un suo volume da un poeta francese ascoltato in un reading a Venezia, Jean Flaminen: “Una corda slegata ormeggia il fiume”. Ma, se pure anche in questo caso lo spunto è “esterno”, Gazich ci aggiunge moltissimo del suo!
Argon e il violino di Michele Gazich
Rispetto ai dischi precedenti, Argon presenta una strumentazione più ricca e arrangiamenti ancora più raffinati. Si avvale di una piccola schiera di musicisti bravissimi, tra i quali l’inseparabile Marco Lamberti – vero e proprio suo alter ego – e la violoncellista Giovanna Famulari, e di dolcissime voci femminili – Rita Tekeyan in particolare – che si integrano benissimo con quella a volte quasi rauca di Gazich. Lo spazio è troppo poco per rendere pienamente giustizia a questo disco, che è corredato da un ricco libretto in cui sono spiegati singolarmente la genesi e il motivo ispiratore di ogni pezzo. Sono inoltre indicati brano per brano luoghi e tempi in cui sia la musica sia il testo hanno preso progressivamente forma: Gazich ci fa così entrare in punta di piedi dentro i suoi processi creativi. Un disco da ascoltare con grande attenzione, ma al quale è anche facile abbandonarsi facendosi cullare, specie quando lo struggente violino di Gazich si guadagna il centro della scena.
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