Ritorno in grandissimo stile per Peter Perrett.

Per apprezzare How The West Was Won occorre non preoccuparsi troppo durante il primo, omonimo, brano. Qui Peter Perrett somiglia anche troppo a Lou Reed e la melodia sembra sempre sul punto di abbracciare Sweet Jane, salvo staccarsi un accordo prima. Questo per quanto concerne la musica. Il testo è invece un’invettiva antiamericana, comprensiva di un attacco a qualcuno che potrebbe essere Donald Trump. Degli Stati Uniti Perrett salva solo una cosa: “Come tutti quanti/ Anch’io sono innamorato di Kim Kardashian/ […] La guarderei tutto il giorno/ Senza sentire il minimo bisogno di vederla dal davanti/ Ecco perché amo l’America”.
Un Peter Perrett ripulito e in gran forma
L’album inizia sul serio con An Epic Story e, titolo dopo titolo, dipana un gomitolo concettuale che inizia così: “Ho letto questo libro così tante volte/ (E la morte dell’eroe è sempre tragica)”. A questo punto occorre ritornare un po’ indietro nel tempo. Sul finire dei ’70 Perrett fu il cantante dei new wavers per sbaglio The Only Ones, con voce più alla Edith Piaf che alla Joe Strummer. Già all’epoca la sua deriva maudit e multitossica sembrava destinata a condurlo proprio a una tragica fine da eroe post-romantico.
Eppure, a partire dall’inizio di questo decennio il nostro ha smesso, nell’ordine, di drogarsi-bere- fumare. E ha continuato ad amare la stessa (santa) donna, la moglie Zena. Il risultato di questa autoterapia è How The West Was Won, lavoro dove l’errore non manca di fascino e l’amore, come da manuale, contiene sempre una certa percentuale di morte. Dunque, una storia sì epica e oscura, però a lieto fine con Perrett in veste di chansonnier dello scampato pericolo.
How The West Was Won: disco a tema e grande raccolta di canzoni
Fin qui tutto bene, non fosse che… Non fosse che la musica è anche meglio della storia. Raramente negli ultimi tempi si è ascoltato un disco come questo, dove le canzoni sono da tesaurizzare una a una. Ballate rock intense ma senza disperazione, cupe ma senza spettri intorno. Neppure quello del musicista di un tempo, che a un certo punto sembrava davvero uno spettro. Perrett canta con la sua voce naturalmente teatrale, affascinante anche quando va fuori giri. E se i referenti non sono all’insegna dell’allegrezza – il già citato Lou Reed, il Johnny Thunders di So Alone – c’è qui una serenità che non si vergogna di lasciarsi andare al sentimentalismo. Come se pure questo fosse una conquista dopo tanta negatività.
Casa Perrett è stata risistemata più o meno uguale a prima, ma è pulita e ridipinta, le porte non cigolano, le finestre si aprono bene e con papà Peter suonano anche i due figli. E se il mondo fuori non è granché, è già stata un’impresa l’aver salvato quello dentro.
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