End Of The Middle: il disco (abbastanza) normale di Richard Dawson.
Voce dai falsetti improbabili, melodie che non prendono mai la strada ovvia, chitarra acustica accordata secondo modalità misteriose, testi che raccontano un alto medioevo agghiacciante. Questo era il Richard Dawson di Peasant, l’album che nel 2017 cominciò a far parlare di lui. Si trattava dunque di una proposta ‘prendere o lasciare’ all’insegna di un weird folk che riportava ai Comus di molti anni prima, ma in versione più sgangherata. O anche alla Incredible String Band virata al grottesco. Chi scrive fu inizialmente sul punto di lasciare (“sembra il Sacro Graal dei Monty Python, però triste”), salvo poi farsi affascinare da questo menestrello geniale e un po’ pazzo, però con parecchio metodo nella sua pazzia.
A quel punto fu inevitabile seguire il resto della vicenda dawsoniana. Peasant rappresentava la prima parte, dedicata al passato, di una trilogia che si arricchì con il presente-presciente (uscì nel 2019 pre-pandemico…) di 2020 e il XXVII secolo assai distopico di The Ruby Cord. Nel mezzo comparve Henki e il suo improbabile “flora-themed hypno-folk-metal” architettato insieme ai finlandesi Henki.
End Of The Middle è il disco in cui Dawson riporta tutto a casa
Dopo cotanta monumentalità Dawson sceglie ora una dimensione più contenuta sia nei suoni che nelle storie. Si viaggia ancora una volta nel tempo, all’incirca fra gli anni ’90 e il presente, con il confronto generazionale come tema principale, ambientazioni sovente domestiche e una dimensione nell’insieme consolatoria a fare da cornice.
L’anziana protagonista di Gondola rimpiange di non essere mai stata a Venezia, eppure con la fantasia si trova a passare in gondola, appunto, sotto il ponte di Rialto. La dialettica passato-presente domina Bullies, dove un padre a suo tempo bullizzato dai compagni di classe riceve la notizia della sospensione da scuola del figlio per il suo comportamento violento. “Ma io lo so che sei di buon cuore”, dice l’ultimo verso e noi siamo indotti a pensare, o almeno a sperare, che sia proprio così. In Removals Van è un giovane uomo felice della vita familiare appena iniziata a ricordare con malinconico affetto il padre depresso e alcolista sperando in un futuro diverso. Nella conclusiva More Than Real, forse il momento più toccante della raccolta, il tema è sempre quello del confronto genitori-figli e delle ferite che possono essere curate solo se non vengono nascoste.
Tutto il lavoro è comunque ricchissimo di geniali guizzi poetici, tipo lo scombinato matrimonio evocato in Knot, e di guizzi geniali, come nel caso di Bolt dove un fulmine irrompe in una casa di qualche anno fa rischiando di uccidere il protagonista che ha appena riagganciato il telefono fisso. Come a dire basta un attimo e non ci sei più e anche il telefono fisso non c’è più.
Canzoni a loro modo rassicuranti
Poiché stiamo parlando di Richard Dawson il termine “rassicurante” andrebbe applicato con cautela. Tuttavia l’ascolto di End Of The Middle suona più fluido rispetto al passato, anche perché i momenti armoniosi stavolta mettono in minoranza quelli stridenti. Salvo More Than Real, le canzoni sono tutte costruite su una chitarra acustica suonata con bizzarra destrezza, accompagnata dalla batteria senza eccessi di Andrew Cheetham. Di tanto in tanto entrano in scena i “fulmini” al clarinetto di Faye MacCalman a dare il doveroso tocco destabilizzante (non bisogna abituarsi troppo bene…).
Ci vuole qualche minuto per riadattarsi a una modalità espressiva che resta comunque unica nell’ambito sonoro contemporaneo, dopodiché ci si può calare ancora una volta in un mondo che risulta pervasivo e persuasivo proprio per la sua atipicità. Difficile immaginare cosa potrà pensare chi è al primo incontro con Richard Dawson: prenderà o lascerà? A quanto pare la prima ipotesi sta prendendo sempre più campo.
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