Peasant e il weird folk temibile di Richard Dawson.
Conosci i Forest e i Comus, non temi i Current 93, sei corso a comprare la ristampa di Bright Phoebus di Mike & Lal Waterson. Insomma, il weird folk britannico per te è roba tanto fosca quanto acquisita, persino rassicurante a suo modo. Poi arriva Richard Dawson e alza la posta anche per un presunto esperto del settore. Anzi, dato il fisico, la allarga.
I foschi temi di Peasant
E pensare che Peasant è considerato il più accessibile degli album da lui incisi. Si tratta, a detta dell’autore, di un album a tema. È ambientato fra il V e VII secolo d.C. in un nord-est inglese che, ormai quasi dimentico dell’Impero Romano, affonda nel degrado e nella paura, nel fango e nell’urina.
Se il tema è corposo, la trattazione lo è ancora di più. Brani lunghi ed errabondi, talora dissonanti, talora sconnessi ritmicamente, con la chitarra dalle corde di nylon di Dawson che sembra essere accordata un po’ così e la voce che non può fare a meno di andare in falsetto ogni paio di minuti (e dire che nell’ultimo anno il nostro è andato a scuola di canto). Poi ci sono i ritmi tra il marziale e l’orgiastico e i cori da chiesa di qualche culto delirante.
Ci vuole un po’ per assimilare Richard Dawson
Il risultato finale lascia sbigottiti oppure sfiancati. Se si è maldisposti, l’effetto è quello dei Monty Python del Sacro Graal che però si prendono sul serio. Ci vuole tempo per apprezzare Peasant e per tesaurizzare gli squarci di luce melodica che si aprono qua e là e, proprio per la loro fuggevolezza, risultano ancora più belli.
Il plauso cresce quando ci si rende conto che Dawson non è un voyeur morboso di questo fosco passato con tocchi di presente. No, lui si cala davvero nelle storie che racconta e soprattutto nei personaggi che le raccontano. Non a caso le canzoni hanno tutte nomi di mestieri – incluso l’orco – e sono tutte in prima persona. E, sempre non a caso, il musicista di Newcastle solo da poco ha smesso di calarsi tre-quattro pinte di birra prima di ogni concerto.
Considerando che in Gran Bretagna Peasant è finito in numerose liste di “Best of 2017” e che Richard Dawson è persino trendy, il prossimo disco potrebbe fare qualche ulteriore concessione quanto ad accessibilità e potrebbe essere davvero grande, oltreché grosso. Ad esempio evitando cose tipo i 10 asperrimi minuti finali di Masseuse. I momenti più ‘fluidi’ come Ogre e Scientist dicono che già qui ci siamo quasi, anche se ci vuole un po’ di abitudine per sentirsi felicemente a disagio in questa musica.
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[…] misteriose, testi che raccontano un alto medioevo agghiacciante. Questo era il Richard Dawson di Peasant, l’album che nel 2017 cominciò a far parlare di lui. Si trattava – come intuibile […]
[…] precedente lavoro di questo folksinger fuori sagoma (in tutti i sensi), Peasant, era ambientato nel Regno britannico di Bernicia, altissimo Medioevo, ed era spettrale, desolato, […]
[…] o giù di lì. Sì perché The Ruby Cord è la terza parte di una trilogia iniziata nel 2017 con Peasant, ambientato nella cruenta Inghilterra del 600 d.C. e proseguito nel 2019 con 2020 (mai titolo […]