Il commovente addio di Sharon Jones.

Un anno fa, dopo una lunga e coraggiosa battaglia contro un tumore al pancreas, moriva Sharon Jones. Aveva sessant’anni, la maggior parte dei quali trascorsi a cantare in un coro gospel o come turnista in studio. E come guardia carceraria in un grazioso istituto di pena del Bronx, Rikers Island.
La lunga gavetta artistica di Sharon Jones
Nel 1996 viene notata da una piccola etichetta, la Desco records, che le fa incidere un paio di singoli. I pezzi finiscono in Soul Tequila And Eleven Other Funky Favourites, album dei Soul Providers con la leggenda Lee Fields a condurre le danze. I Soul Providers sono formati da membri degli Antibalas – band afrobeat osannata dai musicisti della Grande Mela, struttura portante del musical dedicato a Fela Kuti di qualche anno fa (c’è un bel documentario che ne racconta la storia, Il Potere Della Musica) e dei Mighty Imperials. Diventeranno la house-band della Daptone, etichetta nata sulle ceneri della Desco, con il nome di Dap-Kings. (Nota bene: questa terrificante macchina ritmica è formata da musicisti bianchi e neri proprio come un’altra micidiale house-band della storia della black music, quella della Stax; che mischiarsi faccia bene?) Il loro primo disco del 2002 sarà proprio con Sharon Jones, che inizierà da quel momento a raccogliere il successo che merita.
Soul Of A Woman è un album trascinante ma anche suadente
Sei album in quindici anni, ma soprattutto una serie di esibizioni live in cui mette a frutto la sua gavetta, oltre ad una colossale capacità di stare sul palco come pochi altri nel settore. E questo disco, prodotto dal bassista dei Dap-Kings Bosco Mann, nei momenti in cui la salute della Jones le permetteva di registrare, riesce a testimoniarlo visto che la prima parte potrebbe incendiarsi da un momento all’altro, tanta è l’energia che ne scaturisce. La seconda è invece da ascoltare in pieno relax, con un occhio ai testi, mai banali, come quello di Searching For A New Day dove autobiograficamente canta “Through the hard times/Can’t sit on the sideline” (Durante i momenti difficili/Non ci si può sedere a bordo campo) o come nell’invocazione finale di “Call On God”: “Just call on God/And He’ll be a friend” (Basta chiamare Dio/E sarà un amico) che non può che far pensare al consapevole epitaffio di una grande donna e di un’altrettanto grande cantante. Ci mancherai Sharon.
Be the first to leave a review.
Il voto vale anche per l’opera di Sharon Jones nel suo complesso oltre che per l’album in sé.