The Decemberists - As It Ever Was, So It Will Be Again

The Decemberists tornano dopo sei anni con un disco-epopea.

Un album enorme questo dei Decemberists. Enorme per la quantità di suoni, idee, parole, spazi architettati da Colin Meloy e compagni. Non è detto che questo conduca automaticamente al trionfo artistico; spesso anzi – dal Petrarca di Africa agli Yes di Tales From Topographic Ocean – ambizione  finisce per essere sinonimo di noia e/o retorica.

Sono passati sei anni dal modernista e un po’ esile I’ll Be Your Your Girl, e, forse per reazione, i ‘Decabristi’ (o meglio ‘Decaberisti’ [*] ) hanno messo in piedi As It Ever Was, So It Will Be Again. Complice il riaffermarsi del vinile come formato di riferimento dei supporti fonografici fisici, ecco qualcosa che non si vedeva dagli anni ’70: un album doppio con quattro facciate (anzi “isole”) ben distinte tematicamente. E attenzione perché la quarta è occupata da un unico brano lungo ben diciannove minuti.

C’era il rischio, come detto, del peccato di presunzione, della montagna e del topolino, specie considerando che la stagione migliore dei nostri (The Hazards of Love, The King Is Dead) risaliva ormai a una quindicina d’anni fa.

As It Ever Was, So It Will Be Again – parte 1 e 2

I dubbi vengono fugati dalla prima facciata, quella ‘Americana’, che tra folk-rock, country-rock e un’escursione alla frontiera con il Messico (Oh No! è molto alla Calexico) si propone come vivace, coinvolgente, sostanziosa e ben tornita nelle melodie (voto 8,2).

Ancora meglio è la seconda parte, dove Meloy ripropone il suo ben noto  amore per un folk dai toni arcani  (Don’t Go To The Woods, The Black Maria) e dove risalta ancor più il suo felice momento compositivo. Il cantato laconico e al tempo stesso partecipe evoca un passato-sempre-presente degno della Band (voto 9).

As It Ever Was, So It Will Be Again – parte 3 e, soprattutto, 4

Meno emozionante rispetto alle precedenti è la terza sezione, quella definibile come indie, che forse vuole funzionare da momento rilassato prima del gran finale e che suona tanto piacevole quanto, qua e là, scolastica. Fa eccezione l’intensa – quasi alla Wilco – America Made Me. (voto 7,2)

Arriva infine l’attesa e temuta suite Joan In The Garden: l’inizio da ballata folk si evolve in un notevole crescendo dai toni epici e poi in una “‘reverie” strumentale piuttosto psichedelica. A questo punto ecco entrare in scena nientemeno che il prog. Siamo dunque dalle parti di Yes o Genesis? No, questo è prog nel senso americano del termine, ovvero Pavlov’s Dog e Kansas, ovvero un suono che si può giudicare possente o, più spesso, ridondante.  Qui compie il non piccolo miracolo di indurre al sorriso piuttosto che al fastidio. (voto 8)

E allora forse ha ragione Colin Meloy quando afferma che questo è il miglior disco dei Decemberists. Di sicuro è il più esuberante nei suoni, mentre i testi – che fungono da tratto unificante – abitano luoghi più oscuri e  consoni ai tempi attuali. O forse a ogni tempo. (Il voto è la media aritmetica delle quattro parti più uno 0,1 aggiuntivo per il coraggio dimostrato)

[*] La grafia inglese corretta del termine che definisce gli insorti anti-zaristi del dicembre 1825 è “Decembrists”. 

The Decemberists - As It Ever Was, So It Will Be Again
8,2 Voto Redattore
8 Voto Utenti (1 voto)
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

Di Antonio Vivaldi

Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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