Il folk-rock dei The Gang sempre d’attacco con Ritorno al Fuoco.

Con l’intensità dei colori stesi a tocchi veloci e lumeggiature dense, i fratelli Severini a.k.a. The Gang continuano a dipingere il loro personale affresco contemporaneo, quasi un murale, tra Rivera e tutti i sud del mondo. Lo fanno a modo loro, con quel marchio di fabbrica folk rock di cui, forse, restano gli ultimi meravigliosi interpreti, anche nell’ultimo lavoro Ritorno al Fuoco, frutto ancora di un crowdfunding popolare.
Vivide rievocazioni
Tante le location, tanti i paesaggi che evocano e i personaggi che li percorrono. Tanti i versi che sanno raccontare mondi lontani, ma sempre così vicini perché legati tutti da una sola bandiera. Scorrono Lambrate e il Casoretto, dove «la Banda Bellini non fa prigionieri ribelli guerrieri della libertà». E via Modesta Valenti, per tutti i profughi del mondo, i senza patria, «anime in fuga dai deserti del cielo, corde spezzate di quella chitarra che suona il Destino». Non c’è differenza tra il sangue del Rojava e quello di Guernica: «la casa che va in fiamme, il pianto delle donne, il fiore sulla spada», quasi ekphrasis del capolavoro di Picasso. Con tres, congas, marimba, trombe e nacchere saliamo sul treno per Riace, dove «quel che conta e che ci aspetta di sicuro è un altro mondo» Viaggiamo con Pasolini e Mujica: con Paolo verso «quella luce che ti chiama», con Pepe che «è la bandiera, è terra e libertà».
Nell’affresco scorgiamo anche altri volti. Quello di Concetta Candido, che si diede fuoco davanti alla sede dell’Inps di Torino, «perché Concetta stamattina non vuol morire più». E i volti di tutti i dagos, in quello che fu il sogno più menzognero di sempre: «pane nostro è sempre pane amaro e straniero è il nostro nome».
The Gang – Ritorno al Fuoco: un disco multietnico
Sono danze da fare abbracciati e corse a perdifiato a pugno alzato. Tutti i brani sono esaltati dalla produzione di ‘frontiera’ di Jono Manson e dai musicisti, internazionalisti e multietnici, come l’intero album. La voce di Marino che avvolge e culla; le chitarre di Sandro, perfette, dove è giusto che siano. L’ultimo brano sigilla a fuoco il lavoro. Quasi firma d’artista. «Solo per chi la terra la difende. Azadi».
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