Tamara Lindeman/The Weather Station sempre ad alto livello ma con toni più sommessi
In soli sette anni la cantautrice canadese Tamara Lindeman/The Weather Station ha prodotto una trilogia che la pone ai vertici della canzone d’autore d’oltreoceano. Il bellissimo Loyalty (2015) ha avuto come seguito l’eponimo The Weather Station (2017); quindi il capolavoro dell’anno scorso, Ignorance, miglior disco del 2021 per gran parte della critica. Sono episodi piuttosto diversi, dal confessionale acustico al songwriting tradizionale, fino all’adozione dell’elettronica. Da Ignorance è già derivata una versione deluxe, con brani live e un paio di outtakes, mentre questo nuovo capitolo, nelle parole dell’autrice, è posteriore nella realizzazione ma coevo nel concepimento (anche la copertina conferma la parentela). La stessa Lindeman si domanda, con una certa onestà e consapevolezza, se un disco rarefatto ed intimo come How Is It That I Should Look At The Stars (Fat Possum) possa piacere al suo pubblico o a nuovi ascoltatori.
I suoni di How Is It That I Should Look At The Stars
Gli arrangiamenti elettronici di Ignorance sono lontani, e il disco si regge su atmosfere acustiche, con il contributo sparso di basso, fiati e chitarre. L’unica batteria presente si trova nel testo di Sway: “Quando entra la batteria, tu ondeggi e guardi verso me…” Ecco, quindi, cosa aspettarsi da questo disco: ballate pianistiche delicate, da seguire con i testi alla mano, piccoli ritratti di vita con velati riferimenti alle solitudini e agli isolamenti del periodo appena trascorso. Alcuni dei musicisti di Ignorance sono presenti anche qui, come il bassista Ben Whiteley, le chitarre di Christine Bougie e il flauto di Ryan Driver; quest’ultimo si ritaglia anche il ruolo di voce solista (cantando un’intera strofa di To Talk About) e corista. Preziosi anche gli interventi mirati, al sax e al clarinetto, della performer d’avanguardia Karen Ng. How Is It That I Should Look at the Stars è stato registrato dal vivo, con grande qualità, ma ritiene comunque qualche suono spurio: un piede che tiene il tempo, qualche movimento interno del pianoforte; suoni che, in qualche modo, aggiungono calore ed intimità all’intero disco.
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