Il quarto album del misterioso Yves Tumor: Heaven To A Tortured Mind.

Heaven To A Tortured Mind è il quarto album di un personaggio particolare, che quantomeno incuriosisce. Sfuggente, confuso e fumoso, Yves Tumor non ha ancora deciso su quale strada portarci a passeggiare. L’abbiamo lasciato due anni fa con Safe In The Hand Of Love, un album in cui le dichiarazioni di intenti erano decisamente eterogenee. Yves Tumor, che pare si chiami Sean Bowie ma non ne siamo sicuri, pescava in più calderoni miscelando il tutto in un insieme finale che sapeva di soul, psichedelia, funky, jazz e altro ancora. Il risultato non si poteva dire entusiasmante, bensì spiazzante e di difficile collocazione.
I molti riferimenti di Yves Tumor in Heaven To A Tortured Mind
Quest’anno Tumor torna con un prodotto leggermente più ordinato. I riferimenti non mancano. Da Prince a King Krule, passando per Beck e, volendo spingerci oltre, anche a David Bowie nella fase glam, Heaven To A Tortured Mind potrebbe essere l’inizio di un nuovo percorso. Nonostante il permanere di mutazioni e incroci di generi, il nuovo lavoro dello strambo artista americano (che pare anche abbia vissuto a Torino ma neanche su questo abbiamo certezze) può essere in qualche modo codificato. Non è necessario, ma ci proviamo.
Le nuove canzoni
Heaven To A Tortureed Mind parte benissimo: Gospel For A New Century è un brano che cattura al primo ascolto.
L’andamento nu-soul-funky, su una linea melodica azzeccata, ne fa uno dei momenti migliori del tutto. L’idea della ritmica “stop and go” inoltre funziona e colpisce positivamente. Si procede nello stesso modo fino ad arrivare a un altro strampalato gioiello: Kerosene. Grazie anche alla voce di Diana Gordon, Kerosene ci riporta ai fasti dei duetti di Prince in un brano dall’impatto molto forte, dai toni a tratti sfarzosi, dove voci e chitarre non si risparmiano per un ottimo effetto da stadio. Purtroppo a questo punto, e siamo alla quinta traccia, Yves Tumor è come se si perdesse entrando in un tunnel autoreferenziale dove riaffiorano vecchi difetti. Ci troviamo quindi di fronte a un’accozzaglia di melodie di nuovo confuse, dall’aria incompiuta e la bussola iniziale sembra smarrita. Migliora verso il finale con due brani significativi e ben strutturati: Strawberry Privilege e Asteroid Blues lasciano intravedere la possibilità di raggiungere un obiettivo certo. Magari nel prossimo album.
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